Nell’ultimo anno sono cresciute le emissioni di CO2 nel mondo, ma non in Europa (e in Italia)

Nel nostro Paese però i gas serra praticamente non calano dal 2014: senza una politica industriale adeguata la transizione ecologica è ferma

[28 Ottobre 2019]

Le emissioni di CO2 legate all’utilizzo dei combustibili fossili continuano ad aumentare, a livello globale ma non in Europa (e neanche in Italia): è quanto emerge dal report Fossil CO2 & GHG emissions for all world countries, aggiornato dal Centro comune di ricerca (Jrc) dell’Unione europea con i dati relativi al 2018. Un documento che di fatto allarga la forbice tra gli obiettivi che i governi del mondo si sono dati firmando l’Accordo su clima di Parigi e quanto finora è stato messo in campo per raggiungerli: nel 2018 infatti le emissioni antropogeniche di CO2 sono cresciute dell’1,9% a livello globale rispetto al 2017, arrivando a quota 37,9 Gt.

La Cina, gli Usa, l’India, l’Ue, la Russia e il Giappone valgono da soli il 67,5% di queste emissioni, e solo in Ue e Giappone si è registrato un calo – rispettivamente del -1,9% e del -1,7% – nel corso dell’ultimo anno. In questo contesto l’Italia, che vale il 10% delle emissioni di CO2 europee (al terzo posto dopo Germania e Regno Unito), ha fatto meglio delle media Ue con un calo nelle emissioni di anidride carbonica da fonti fossili pari al -3,3% nel 2018.

Di fatto, le serie storiche messe in fila dal Jrc mostrano come solo l’Ue e la Russia siano tra le principali economie industrializzate che hanno tagliato significativamente le proprie emissioni di gas serra negli ultimi decenni: quelle europee ad esempio sono calate del 21,6% rispetto al 1990, mentre in Usa e in Giappone nello stesso periodo sono cresciute del 4-5%, per non parlare di Cina e India dove oggi sono rispettivamente 3,7 e 3,4 volte superiori rispetto a trent’anni fa a seguito della rapida industrializzazione in corso.

Il percorso intrapreso in questi decenni dall’Europa, pur con tutte le sue lacune, è oggi in grado di mostrare che più basse emissioni di CO2 sono compatibili con una più alta qualità della vita (le emissioni pro capite nell’Ue sono già oggi inferiori a quelle della Cina e metà di quelle statunitensi), ma adesso è necessario tornare a rafforzare quest’avanguardia per dare all’Europa un’identità e un modello di sviluppo adeguati da perseguire.

Gli attuali obiettivi climatici dell’Ue impongono al Vecchio continente di tagliare le proprie emissioni di gas serra rispetto al 1990 di almeno il 40% entro i prossimi 10 anni, mentre al momento siamo fermi al -21,6%; guardando al 2050 il target è quello ancora più ambizioso della neutralità climatica, nei confronti del quale il ritardo è ad oggi imbarazzante. Nonostante le emissioni di CO2 siano calate nel 2018 europeo il trend rimane debole quando non altalenante, dato che solo l’anno precedente erano aumentate.

Un problema che attanaglia anche l’Italia, tanto più che l’Ispra prevede nell’anno in corso un nuovo incremento delle emissioni: «Nel secondo trimestre del 2019 – dettaglia al proposito l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – la stima tendenziale delle emissioni dei gas serra prevede un incremento rispetto all’anno precedente, pari allo 0,8% a fronte di una diminuzione del Pil pari a -0,1% rispetto all’anno precedente. Si verifica un disaccoppiamento tra l’andamento delle emissioni e la tendenza dell’indice economico, non troppo confortante perché a un decremento del Pil è associato un incremento delle emissioni di gas serra».

Piccole oscillazioni annuali a parte nel nostro Paese le emissioni di gas serra «praticamente non calano dal 2014», per dirla con l’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi, mentre per tornare a farle diminuire servirebbe una politica industriale adeguata che sappia indirizzare quantità e qualità dello sviluppo economico. Il famoso “Green new deal” annunciato da ultimo dal Governo in carica, ma che ancora non si vede.

L. A.