Legambiente e Greenpeace su posizioni opposte

Nella nuova proposta di regolamento Ue meno imballaggi, e tutti riciclabili entro il 2030

L'obiettivo principale avanzato da Bruxelles è ridurre i rifiuti di imballaggio procapite per Stato membro del 15% rispetto al 2018 entro il 2040

[1 Dicembre 2022]

La Commissione europea ha avanzato ieri una proposta di regolamento sui rifiuti da imballaggio – sulla quale partirà adesso il confronto col Parlamento europeo e col Consiglio –, che si propone di cambiare rotta rispetto all’attuale direttiva introdotta nel 1994, o meglio a renderla più incisiva.

Come noto, la gerarchia europea per la gestione dei rifiuti mette al primo posto la prevenzione, seguita dal riuso, dal recupero di materia, dal recupero energetico e infine dallo smaltimento in sicurezza. I fatti però parlano d’altro: negli ultimi 10 anni i rifiuti di imballaggio sono aumentati di oltre il 20% nell’Ue e, senza azioni correttive, si prevede un ulteriore aumento del 19% entro il 2030 (+46% per i rifiuti di imballaggio di plastica).

Si tratta di una problematica molto sentita, perché gli imballaggi (insieme all’organico) sono i rifiuti che per primi balzano all’occhio dell’opinione pubblica, nonostante rappresentino una stretta minoranza di tutti i rifiuti che generiamo annualmente (l’8% in Italia, considerando i rifiuti urbani e speciali). Di grande rilievo anche gli aspetti economici, in quanto la produzione di imballaggi e la gestione dei conseguenti rifiuti genera un fatturato totale di 370 mld di euro l’anno nell’Ue.

Non a caso la proposta di regolamento ha già causato numerose fibrillazioni nel comparto, italiano in primis, che contesta sia le modalità dell’iniziativa (un regolamento presenta assai scarse possibilità di smussamento in fase di recepimento nazionale della normativa) sia una presunta maggiore attenzione al riuso rispetto al riciclo (posto che la gerarchia Ue è già esplicita al riguardo).

Lo stesso vale per il focus che la Commissione Ue pone sugli imballaggi in plastiche a base biologica, compostabili e biodegradabili, stabilendo «per quali applicazioni tali plastiche sono realmente vantaggiose sul piano ambientale e come dovrebbero essere progettate, smaltite e riciclate». Anche questo è infatti un tema scottante per l’Italia, vista l’eccellenza raggiunta nella produzione delle bioplastiche (nonostante le difficoltà a chiudere il ciclo per questa tipologia di rifiuti).

«Per le plastiche biodegradabili occorre esercitare cautela – osserva nel merito la Commissione –  Hanno il loro posto in un futuro sostenibile, ma devono essere limitate ad applicazioni specifiche per le quali i benefici ambientali e il valore per l’economia circolare siano comprovati. Dovrebbero essere utilizzate solo se presentano benefici ambientali, non incidono negativamente sulla qualità del compost e in presenza di un adeguato sistema di raccolta e trattamento dei rifiuti organici».

Più in generale, l’obiettivo principale della proposta di regolamento è ridurre i rifiuti di imballaggio procapite per Stato membro del 15% rispetto al 2018 entro il 2040 (intervallato da un -5% al 2030 e -10% al 2035), oltre a rendere tutti gli imballaggi riciclabili entro il 2030 in modo economicamente sostenibile.

Raggiungere questo macro-obiettivo significa tracciare la rotta su numerosi target minori. Ad esempio sarà introdotta «in una certa misura» la standardizzazione dei formati degli imballaggi, e saranno vietate alcune forme di imballaggio «chiaramente inutili» (ad esempio quelli monouso per cibi e bevande consumati all’interno di ristoranti e caffè, o i flaconi in miniatura per shampoo negli hotel); vi saranno inoltre tassi vincolanti di contenuto riciclato nei nuovi imballaggi di plastica, e ogni imballaggio dovrà essere munito di un’etichetta (uguale in tutta l’Ue) che indichi in quale categoria di rifiuti dovrebbe essere conferito.

«Molte misure – aggiungono dalla Commissione – sono volte a rendere gli imballaggi totalmente riciclabili entro il 2030; ciò include la definizione di criteri di progettazione per gli imballaggi, la creazione di sistemi vincolanti di vuoti a rendere su cauzione per le bottiglie di plastica e le lattine di alluminio e chiarire quali tipologie molto limitate di imballaggi dovranno essere compostabili, in modo che i consumatori possano gettarli nell’organico».

Anche per il riuso sono previste azioni presentate come «incisive» dalla Commissione: «Entro il 2030 e il 2040, rispettivamente il 20% e l’80% delle bevande fredde e calde dovrà essere venduto in contenitori che fanno parte di un sistema di riutilizzo, oppure i consumatori dovranno poter riempire i loro contenitori. I venditori di birra al dettaglio, per esempio, dovrebbero utilizzare contenitori ricaricabili per il 10% dei loro prodotti entro il 2030 e per il 20% entro il 2040. Gli obiettivi per il cibo da asporto dei ristoranti sarebbero rispettivamente il 10% per il 2030 e il 40% per il 2040. Entro il 2030, il 10% degli imballaggi usati per il trasporto nell’e-commerce dovrà essere riutilizzabile, percentuale che salirà al 50% entro il 2040; una certa standardizzazione del formato degli imballaggi riutilizzabili, per esempio le bottiglie per bevande, e chiarimenti sulla progettazione dei sistemi di riutilizzo e ricarica sulla base delle migliori pratiche».

Secondo le stime di Bruxelles, tutto questo dovrebbe portare vantaggi sia economici sia ambientali a livello europeo: emissioni di gas serra evitate per 23 mln di ton al 2030 (equivalente alle emissioni annue della Croazia), minori danni ambientali per 6,4 mld di euro e più posti di lavoro (oltre 600mila solo per il riutilizzo). In altri termini, se questi vantaggi venissero trasferiti ai consumatori, significherebbero un risparmio di circa 100€ l’anno.

Questo a livello europeo. E in Italia? Il viceministro dell’Ambiente, Vannia Gava, promette che «non molleremo e daremo battaglia. Se favorire il riciclo significa obbligare gli Stati a organizzare sistemi di deposito e ritiro, allora si vuole smantellare il sistema dei consorzi in Italia. Per altro, il sistema di vuoto a rendere proposto dall’Ue, con tanto di cauzione a carico dei consumatori, può costare fino a 10 volte di più dell’attuale sistema di raccolta differenziata, senza la garanzia che possa produrre effetti migliori per il riciclo e registrare un minore impatto sull’ambiente».

Anche il presidente di Legambiente nazionale, Stefano Ciafani, è intervenuto oggi sul Sole 24 Ore affermando che «questa proposta di regolamento è sbagliata. Nel merito perché rischia di compromettere il sistema industriale italiano dell’economia circolare, che è anche oggetto di finanziamenti europei. E nel metodo: una cosa di questo tipo non si può affrontare con un regolamento».

Di diverso avviso Greenpeace Italia: l’associazione ambientalista sottolinea che «riciclo e riuso sono azioni sinergiche e non antitetiche come il ministro Pichetto Fratin e l’industria hanno fatto credere. Se dovesse essere inserito nella proposta europea l’obbligo di utilizzare packaging fabbricato con plastica riciclata, è necessario sviluppare filiere di riciclo altamente performanti basate su sistemi di raccolta efficienti come, ad esempio, il deposito su cauzione o Drs per i contenitori per bevande. Riguardo il riuso invece, secondo i dati evidenziati dal recente lavoro delle Nazioni Unite, nell’ambito della “Life cycle initiative” – in cui è stata condotta un’ampia revisione dei principali studi basati sulla metodologia Lca (Life cycle assessment) presenti nella letteratura scientifica internazionale – i benefici ambientali dei prodotti riutilizzabili (inclusi gli imballaggi) sono notevoli rispetto al monouso, indipendentemente dal tipo di materiale. Tant’è che numerosi stati europei (ad esempio Austria, Francia, Portogallo) e alcune multinazionali (ad esempio Coca Cola) hanno già scelto di ricorrere a quantità crescenti di contenitori riutilizzabili negli anni a venire».