Maxi rimbalzo delle emissioni italiane di gas serra, nell’ultimo anno sono cresciute più del Pil

Ispra: sulla base dei dati preliminari ci si attende «un incremento del 6,8% rispetto al 2020»

[14 Aprile 2022]

Nell’anno di avvio della pandemia Covid-19 e dei conseguenti lockdown, il 2020, le emissioni di gas serra italiane si sono fermate a quota 381 mln di ton di CO2eq – il dato più basso degli ultimi trent’anni almeno –, registrando così un calo del 27% rispetto al 1990. Un traguardo “positivo” su cui però abbiamo già innestato la retromarcia nel 2021.

Come documenta l’Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale (Ispra), a margine della presentazione odierna dell’Inventario nazionale delle emissioni di gas serra – edizione 2022, sulla base dei dati preliminari disponibili per il 2021, ci si attende «un incremento delle emissioni di gas serra a livello nazionale del 6,8% rispetto al 2020 a fronte di un aumento previsto del Pil pari al 6,5%».

L’andamento stimato è dovuto ad un incremento delle emissioni, in particolare per l’industria (+9,1%) e trasporti (+15,7%), mentre per la produzione di energia si stima un più modesto aumento (+2,2%).

Confrontando i dati del 2020 con quelli del 1990, invece, i miglioramenti sono evidenti. Responsabili di circa la metà delle emissioni nazionali di gas climalteranti sono i settori della produzione di energia e dei trasporti; questi ultimi mostrano, complessivamente, una diminuzione del 16,4% rispetto al 1990, mentre le emissioni provenienti dal settore delle industrie energetiche è calato del 41% a fronte di un aumento dei consumi di energia elettrica (da 218,7 TWh a 283,8 TWh).

Non a caso nel 2020 la quota di energia rinnovabile è pari al 20,4% rispetto al consumo finale lordo, più che triplicata rispetto al 2004 quando rappresentava il 6,3% del consumo finale lordo di energia.

Anche per questo dall’Ispra scelgono di vedere il bicchiere mezzo pieno: «L’incremento nei livelli di gas serra stimato per il 2021 rispetto al 2020 è conseguenza della ripresa della mobilità e delle attività economiche, ma non altera il trend di riduzione delle emissioni e di miglioramento dell’efficienza energetica registrato negli ultimi anni».

Il problema è che questo trend, che nonostante tutto finora ha retto il confronto coi modesti obiettivi stabiliti in sede Ue per la decarbonizzazione al 2020, attualmente soffre di un livello d’ambizione cronicamente basso che rende molto difficile se non impossibile centrare gli obiettivi al 2030 (-55% emissioni di gas serra rispetto al 1990).

Come testimonia l’iniziativa Italy for climate, ad esempio, negli ultimi anni l’Italia sta perdendo la sua leadership su questi temi, avendo rallentato moltissimo il taglio delle emissioni (fra il 2014 e il 2021 le emissioni si sono ridotte solo del 3%) proprio nel momento in cui le tecnologie pulite sono diventate più efficaci e disponibili ed è cresciuta la consapevolezza sulla crisi climatica. Una delle cause principali di questo rallentamento è dovuto allo stallo delle fonti rinnovabili, che dal 2014 hanno smesso di crescere nonostante il forte know how italiano acquisito nello scorso decennio e l’abbondante disponibilità di risorse presenti sul territorio.

Basti pensare che tra il 2015 e il 2019 le fonti rinnovabili sono cresciute solo del 3% in Italia, a fronte di una media Ue del 13%. Fino a un decennio fa l’Italia era un leader di settore: per Legambiente, se lo sviluppo delle rinnovabili – limitando l’analisi per semplicità a solare ed eolico – fosse andato avanti con lo stesso incremento annuale medio registrato nel triennio 2010-2013 (pari a 5,9 GW l’anno, contro il dato attuale inferiore a 1 GW), oggi l’Italia avrebbe 50 GW in più di impianti e sarebbe stata così in grado di ridurre i consumi di gas metano di 20 miliardi di metri cubi l’anno, tagliando le importazioni di gas dalla Russia del 70%.