Logica e algebra per la gestione dei rifiuti

Testa: gli inceneritori svolgono un ruolo complementare rispetto al riciclo, non c’è alcun motivo per guardare con sospetto al recupero di energia dai rifiuti

[31 Maggio 2021]

È apprezzabile che Ferrante ci abbia ricordato nel suo articolo l’importanza e la necessità delle discariche in una corretta gestione dei rifiuti. Infatti di un po’ di discarica, specie per speciali e pericolosi, ce ne sarà sempre bisogno. Ma se questo vale per le discariche vale ancora di più per gli inceneritori. E i calcoli di Ferrante non tornano.

Le gestione dei rifiuti in Europa, e quindi in Italia, è chiamata a seguire prima di tutto la logica. Quella della famosa “gerarchia” nella gestione dei rifiuti, da tempo contenuta nelle direttive: prima si ricicla, quel che non si ricicla si recupera come energia, quel che resta va in discarica. Semplice.

Poi c’è l’algebra. La nuova direttiva dice che si deve riciclare almeno il 65% dei rifiuti urbani, che in discarica non ci può andare più del 10%, quindi il recupero di energia dovrebbe essere circa il 25%. È vero che l’obiettivo di riciclaggio (65%) è un obiettivo minimo e si può far meglio (70-75%?), ma è anche vero che l’obiettivo di discarica (10%) è un obiettivo minimo e si può fare meglio (5-0%). La differenza non cambia, sempre 25% resta, e può essere gestito soltanto per recuperare energia.

Se accanto alla logica ci mettiamo l’algebra, non ci sono molti spazi per avere opinioni diverse. È così.

Lo ha detto con estrema chiarezza Mattia Pellegrini, il capo unità economia circolare della Dg Ambiente della Commissione europea: «Anche gli inceneritori svolgono un ruolo complementare rispetto al riciclo, perché ciò che non può essere riciclato è meglio che venga trasformato in energia, piuttosto che smaltito in discarica». Parole chiare, semplici, cristalline.

Non deve trarre in inganno la (momentanea) esclusione degli investimenti in waste-to-energy dalla tassonomia europea sugli investimenti sostenibili. È infatti comprensibile che l’Unione europea non finanzi la costruzione di inceneritori e discariche e che quindi questi impianti non siano inclusi nel nostro Pnrr. Ma gli inceneritori (finanziati direttamente dalle imprese) servono in un’equilibrata gestione dei rifiuti in ogni Paese membro, nel rispetto della gerarchia e degli obiettivi di riciclo e discarica.  E nessuna norma europea li proibisce o ne prevede la dismissione.

È vero che gli inceneritori emettono un quantitativo importante di anidride carbonica, ma una volta adottate tecnologie di cattura (Ccs) della CO2 – queste invece finanziabili dai fondi europei – un impianto waste-to-energy diventa carbon negative.

Recuperare energia è preferibile alla discarica per un principio di corretta gestione delle risorse e su questa base si fonda la gerarchia. Una parte consistente degli scarti del riciclo e dei rifiuti non riciclabili sono combustibili. Non ha senso stoccarli in discarica, consumando territorio, e non procedendo al recupero della matrice energetica. In discarica ha senso solo portare rifiuti inerti non riciclabili, né combustibili. Logica pura.

Un Paese normale dovrebbe dotarsi di una capacità di waste-to-energy di circa il 25-30%, per gestire tutti i rifiuti non riciclabili e non inerti, garantire momenti di picco e di crisi del riciclo in una strategia di sicurezza della gestione dei rifiuti nelle singole regioni e a scala nazionale. Sbagliato programmare più del 30% (andando in overcapacity), ma sbagliato anche programmare meno del 25-30%, rischiando crisi di sistema da deficit impiantistico, che inevitabilmente porterebbe o ad un aumento della discarica o all’export.

Se poi il “partito anti inceneritori” è il “partito della discarica e dell’export”, lo si dica apertamente. Opinione legittima, ma contraria al principio di prossimità, alla attuale gerarchia europea (logica) e agli obiettivi europei (algebra).

In Italia oggi siamo al 18% di recupero energetico, dei rifiuti urbani: ci manca circa il 7-12 %, non molto. In alcune regioni non c’è nemmeno un impianto. Un programma nazionale di gestione dei rifiuti dovrebbe indicare con chiarezza come recuperare questo gap impiantistico “complementare al riciclo”.

Non c’è alcun motivo per guardare con sospetto al recupero di energia dai rifiuti: lo faremo producendo biometano dai rifiuti organici differenziati, lo faremo recuperando energia da scarti del riciclo e da rifiuti non riciclabili combustibili. In parte si tratta di una fonte rinnovabile (e per questa sarebbe sensato conservare gli attuali incentivi), e quindi il settore rifiuti concorre al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra e al contrasto ai cambiamenti climatici.

di Chicco Testa, presidente Fise Assoambiente