A che punto è il piano che il Mite dovrebbe pubblicare entro 20 giorni?

L’Ocse chiede all’Italia di eliminare i sussidi dannosi per l’ambiente

«Il sostegno agli investimenti nell'efficienza energetica e nell'approvvigionamento di energia rinnovabile rafforzerebbe la sicurezza energetica»

[10 Giugno 2022]

Si chiude oggi la riunione a livello ministeriale del Consiglio dell’Ocse, presieduta dall’Italia e dedicata al tema Il futuro che vogliamo: politiche migliori per la prossima generazione e una transizione sostenibile.

La riunione ministeriale è il forum di più alto livello dell’Ocse, a cui partecipano i ministri dell’Economia, delle Finanze, degli Affari esteri, del Commercio e di altri dicasteri dei Paesi membri e dei Paesi partner dell’organizzazione, e ha offerto l’occasione per fare il punto sulle prospettive economiche internazionali, gravate da crescenti tensioni geopolitiche e (dunque) sui mercati.

«Il mondo – dichiara l’Ocse nel rapporto pubblicato per l’occasione – pagherà un duro prezzo per la guerra della Russia contro l’Ucraina. Dinanzi ai nostri occhi si sta svolgendo una crisi umanitaria che ha stroncato migliaia di vite e costringe milioni di rifugiati a lasciare il proprio Paese, mettendo a repentaglio la ripresa dell’economia, che era appena iniziata dopo due anni di pandemia».

La guerra tra la Russia e l’Ucraina, entrambi grandi esportatori di materie prime, ha accelerato l’aumento già in corso dei prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari; l’entità del calo della crescita economica e dell’aumento dell’inflazione dipenderà dall’evoluzione del conflitto, ma già oggi le previsioni Ocse sono tutt’altro che rosee.

«Stimiamo che la crescita globale sarà del 3% nel 2022 (in calo rispetto al 4,5% previsto lo scorso dicembre) e del 2,8% nel 2023. Le proiezioni per il 2022 indicano attualmente un’inflazione pari quasi al 9% nei Paesi dell’Ocse, il doppio rispetto alle precedenti previsioni. Ma poiché esiste il rischio che le previsioni siano riviste al ribasso, il prezzo della guerra potrebbe aumentare ulteriormente».

Già oggi l’Italia, particolarmente esposta alle conseguenze della guerra – il gas naturale soddisfa il 42% del nostro fabbisogno energetico, per il quale dipendiamo largamente dalla Russia – registra una performance peggiore della media Ocse: si prevede una crescita del Pil nazionale del 2,5% nel 2022 e dell’1,2% nel 2023.

In Italia «la guerra inciderà sulla crescita, in quanto l’incremento dei prezzi erode il potere di spesa e la fiducia», argomenta l’Ocse. Per provare a far fronte a questo contesto il Governo ha «introdotto considerevoli misure politiche di sostegno, tra cui la riduzione delle accise e delle aliquote Iva sui prezzi dell’energia, crediti d’imposta per gli utenti che consumano elevati quantitativi di energia», ma così facendo – come evidenziato recentemente anche in uno studio del think tank Bruegel – ha innescato una serie di pericolose distorsioni.

Tenere artificialmente più bassi i prezzi dell’energia grazie ai sussidi limita infatti i progressi della transizione ecologica, e al contempo questa politica dei sussidi è regressiva perché aiuta più i ricchi (che hanno consumi energetici maggiori) dei poveri. Che fare?

«È possibile accelerare la transizione verde disgiungendo questo sostegno dal consumo energetico futuro ed eliminando gradualmente i sussidi dannosi per l’ambiente – risponde l’Ocse – Il sostegno agli investimenti nell’efficienza energetica e nell’approvvigionamento di energia rinnovabile rafforzerebbe la sicurezza energetica. I contratti a lungo termine sui prezzi dell’energia (Ppa, ndr) possono contribuire a gestire i costi fiscali, fornendo al contempo certezza agli investitori».

Eppure in Italia le rinnovabili continuano a marciare a rilento (con solo 0,64GW installati da gennaio a fine aprile) e i sussidi ambientalmente dannosi rendicontati dal ministero della Transizione ecologica (Mite) restano praticamente intonsi, a 21,6 mld di euro l’anno.

Negli scorsi mesi il Mite si è impegnato a presentare «un piano di uscita dai sussidi ambientalmente dannosi entro la metà del 2022», ma a venti giorni dalla scadenza del piano non c’è traccia.

Eppure è lo stesso Mite ad aver stimato cosa accadrebbe cancellando questi sussidi, concentrandosi in particolare sulla riallocazione di una frazione pari a 12 mld di euro: otterremo un aumento della crescita economica fino al +1,6% del Pil e un aumento dell’occupazione fino a +4,2%.

E il perimetro d’azione potrebbe essere (molto) più ampio. Analizzando l’ammontare delle sovvenzioni alle fonti fossili nel nostro Paese, il Fondo monetario internazionale arriva a innalzare la cifra fino a 41 mld di dollari l’anno, quasi il doppio rispetto ai sussidi ambientalmente dannosi stimati dal Governo.

Come intervenire per eliminare queste onerose sovvenzioni alla crisi climatica in corso, senza andare a innescare proteste sociali come quella dei Gilet gialli che ha devastato la Francia pochi anni fa? Anche in questo caso la partita dell’equità è infatti determinante: il costo della transizione ecologica non può essere pagato dai più poveri, che peraltro hanno assai meno colpe rispetto ai ricchi parlando di cambiamento climatico. Peccato che nel nostro Paese abbia ormai perso significato anche il concetto di progressività fiscale.