Lo smart working è qui per restare? Irpet, ecco come può migliorare la mobilità toscana

Fino a 300mila veicoli in meno sulle strade regionali, 42 minuti in media risparmiati ogni giorno per le tratte casa-lavoro e un taglio alle emissioni di CO2 pari a 192.500 tonnellate l’anno

[30 Luglio 2020]

Secondo l’indagine Istat sulle forze lavoro, pochissimi lavoravano abitualmente o saltuariamente da casa prima dell’emergenza sanitaria – il 4,9% nel 2018 – mentre il lockdown da Covid-19 ha imposto un’imponente accelerata sul fronte smart working: come osserva l’Irpet il lavoro agile è «certamente tra le più positive conseguenze» che ci ha lasciato questo doloroso periodo, e adesso siamo più pronti a soppesarne i vantaggi tanto che «sembra prospettarsi anche a regime un diffuso maggiore ricorso alla prestazione di lavoro da remoto».

Secondo il report pubblicato oggi dall’Istituto regionale programmazione economica della Toscana, in regione il gruppo delle professioni potenzialmente eseguibili da remoto comprende 481.622 occupati, il 32,6% del totale. Ogni giorno circa 1,5 milioni toscani escono da casa per recarsi a lavoro, che però nel 32% dei casi è al di fuori del proprio comune e nel 12% al di fuori anche della provincia.

«Un ricorso diffuso al lavoro da remoto (probabilmente limitato a parte della settimana lavorativa e non esteso come durante la situazione di emergenza sanitaria) potrebbe quindi fornire una parziale soluzione – sottolinea l’Irpet – alle situazioni di congestione del sistema infrastrutturale, impattando inoltre in maniera positiva sulla riduzione delle esternalità negative legate al trasporto (inquinamento, incidentalità, rumore, congestione)».

La riduzione delle necessità di spostamento si porta infatti dietro anche un taglio delle esternalità negative connesse ai trasporti, in particolare di quelle derivanti dal trasporto stradale con mezzo proprio, che risultano essere le più rilevanti «sia perché si tratta della modalità di trasporto più diffusa che per il fatto di essere la modalità più impattante per passeggero-km trasportato».

Limitando l’analisi ai flussi interni al territorio regionale (che trovano quindi sia origine che destinazione nei comuni toscani), si potrebbe ridurre di circa 400.000 unità il numero di pendolari che insistono quotidianamente sul sistema di trasporto toscano. Di questi, circa il 76% utilizza abitualmente il mezzo proprio: un dato traducibile «in circa 300.000 veicoli (270.000 auto e 30.000 moto) in meno sulle strade regionali e in circa 50.000 utenti medi giornalieri in meno sui mezzi pubblici».

I vantaggi dello smart working dal punto di vista ambientale sono dunque evidenti. Basti soffermarsi sul contributo al contrasto della crisi climatica in corso: potizzando uno smart working basato su metà isettimana sul luogo di lavoro e metà a casa l’Irpet stima «una riduzione delle emissioni di CO2 di circa 192.500 tonnellate su base annua (pari approssimativamente al 3% delle emissioni di CO2 da trasporto della Toscana)».

Anche dal punto di vista sociale i guadagni non mancano, visto il risparmio del tempo impiegato quotidianamente per lo spostamento casa-lavoro, che l’Irpet individua in media in 42 minuti al giorno per le professioni potenzialmente telelavorabili.

Ma a fronte di così tanti vantaggi, finora lo smart working non ha conquistato altrettanti adepti, neanche durante l’emergenza sanitaria. «Le prime indagini volte a capire l’effettivo utilizzo del lavoro da remoto nelle imprese toscane durante l’emergenza sanitaria suggeriscono – riporta l’Irpet – una portata del fenomeno significativamente ridotta rispetto alle stime del potenziale. Secondo i dati riportati da Istat, nel pieno del periodo di lockdown (aprile 2020) hanno lavorato da casa, almeno alcuni giorni, il 18,5% degli occupati italiani, una percentuale quattro volte superiore a quella di gennaio, ma ben inferiore alla nostra stima potenziale».

I primi dati sul ricorso allo smart working durante la fase più acuta dell’emergenza sanitaria sembrano quindi indicare che la possibilità di lavorare da remoto non dipende solo dalla telelavorabilità delle professione che si svolge, ma anche dalla propensione dei datori di lavoro, dalla capacità di mettere in campo soluzioni informatiche e organizzative e dal livello di competenze digitali dei lavoratori. Tutti temi che Irpet indagherà presto, fanno sapere dall’Istituto.