Per il sottosegretario Crippa la Cnapi sarà pubblicata entro l’inizio del 2020

L’Italia non ha ancora idea di come gestire 78mila metri cubi di rifiuti nucleari

Oltre 30mila metri cubi sono sparsi in 7 regioni, una larga parte è finita (temporaneamente) all’estero e ne produciamo di nuovi ogni giorno. Nessuno ha il coraggio di dire dove finiranno

[31 Luglio 2019]

Tutti produciamo rifiuti, qualcosa che non vogliamo più avere tra le mani, ma più è alto il grado d’allarme e fastidio meno ne vogliamo sapere: i rifiuti radioattivi rappresentano dunque a buon ragione l’apice di questo paradigma, che in Italia accomuna una larga fetta dei cittadini come – soprattutto – della politica che li rappresenta, timorosa di perdere consenso. Negli ospedali, nelle industrie, nei laboratori di ricerca e nei vecchi impianti nucleari in via di smantellamento si producono ogni giorno rifiuti radioattivi, che non sappiamo però dove mettere. «La debolezza della politica è tutta qui – commenta la deputata LeU ed ex presidente di Legambiente, Rossella Muroni – nessuno vuole scegliere su cose difficili, si insegue il consenso e si evitano le decisioni scomode». Le audizioni in corso in questi giorni nella commissione parlamentare Ecomafie, guidata da Stefano Vignaroli, sembrano darle ragione.

Il direttore dell’Ispettorato per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin) Maurizio Pernice è stato audito oggi, ricordando che l’Isin ha realizzato un inventario nazionale dei rifiuti radioattivi: gli ultimi dati risalgono al 31 dicembre 2017, e testimoniano la presenza di 30.497 m3 sparsi in 7 regioni. Si tratta solo di una piccola parte rispetto al quantitativo iniziale, per la gran parte in attesa di rientrare in Italia dopo essere stato spedito temporaneamente all’estero. Dovranno finire tutti in un unico deposito nazionale per essere custoditi con maggiore sicurezza: un progetto da 1,5 miliardi di euro, ma nessuno ha ancora idea di dove sarà realizzato. Si tratta infatti di spiegare all’opinione pubblica che nel deposito saranno stoccati circa 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e media attività – la cui radioattività decade a valori trascurabili nell’arco di 300 anni – 50mila dei quali rappresentano le pesante eredità degli impianti nucleari italiani in via di smantellamento, e altri 28mila arrivano dalla ricerca, dalla medicina nucleare (dalle lastre in su) e dall’industria. Sul totale di 78mila metri cubi circa 33mila sono già stati prodotti, mentre i restanti si stima verranno prodotti nei prossimi 50 anni.

L’attività di gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi in Italia è affidata alla Sogin, con costi individuati in 7,2 miliardi di euro, ovvero 400 milioni in più rispetto ai 6,8 miliardi stimati all’inizio. Di certo c’è che dal 2001 al 2018 il programma di smantellamento è stato realizzato per circa un terzo delle attività ma è già costato 3,8 miliardi di euro, pari a poco più del 50% del budget. Vanno aggiunti inoltre gli 1,5 miliardi previsti per la realizzazione del deposito nazionale, ma qui come già detto il problema principale non sono i soldi, ma il dove.

Nella Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) a ospitare il deposito sono stati individuati 100 possibili siti ormai dal gennaio 2015, ma da allora è sempre rimasta chiusa in un cassetto. E non ne uscirà a breve. Il sottosegretario Davide Crippa, audito ieri nella commissione Ecomafie, ha riferito che si prevede di concludere l’iter necessario alla pubblicazione della Carta entro la fine del 2019 e l’inizio del 2020; una speranza più che una certezza, visti i pregressi.

Non a caso Crippa spiegato che a gennaio scorso si è concordato di apportare una modifica allo schema di Programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi – non ancora approvato – per garantire che lo smaltimento in sicurezza dei rifiuti radioattivi italiani possa avvenire parzialmente all’estero. Ma chi vorrà prenderli, e a quali costi per il contribuente italiano? Ad oggi sono state trasportate in Francia circa 222 tonnellate provenienti dalle ex centrali nucleari italiane, e altre 13 tonnellate sono in attesa dello stesso destino dal deposito Avogadro. L’esecuzione di questi ultimi trasporti è subordinata però da parte francese a precise garanzie del Governo italiano di ripresa in carico dei rifiuti: secondo gli accordi vigenti la scadenza è prevista nel 2025, ma per allora è praticamente impossibile che il nostro deposito nazionale possa essere pronto.

Tutto, pur di non gestire i propri rifiuti. Tanto che ad oggi sono tre le procedure di infrazione europee in corso: Crippa ha spiegato che la legge europea 2018 colma alcune lacune normative ed è il presupposto per chiudere la procedura 2018/2021. Nessuna novità invece sul fronte delle procedure 2016/2027 per la mancata trasmissione del Programma nazionale alla Commissione europea e 2018/2044 per la mancata attuazione della direttiva 2013/59/Euratom.