L’industria italiana delle bioplastiche sta andando alla grande

Versari: «Oggi l’incognita maggiore per il futuro è determinata dalla direttiva Sup (Single use plastics) emanata dalla Ue»

[5 Giugno 2019]

L’industria delle plastiche biodegradabili e compostabili rappresenta un comparto da 252 aziende, che grazie al lavoro di 2.550 addetti dedicati ha prodotto nell’ultimo anno 88.500 tonnellate di manufatti che sono valsi un fatturato complessivo di 685 milioni di euro. Come mostra il V rapporto annuale presentato oggi a Roma da Assobioplastiche, si tratta di numeri tutti in forte crescita: le imprese di settore erano solo 143 nel 2012, e da allora gli addetti sono pressoché raddoppiati mentre il fatturato ha avuto una crescita media annua di circa l’11%. Un dato simile a quello dei volumi complessivi prodotti (circa +10% annuo), che nel 2018 ha avuto una vera impennata: +21%.

Risultati più che incoraggianti, dove l’evoluzione della normativa italiana ha inciso non poco. «Il 2011 è stato il primo anno di sviluppo del comparto – spiegano da Assobioplastiche –, con l’entrata in vigore dell’obbligo di adottare sacchetti biodegradabili in sostituzione di quelli in polietilene», mentre nel corso del 2018 il maggiore impulso ai volumi è provenuto «dal nuovo segmento dei sacchetti ultraleggeri per confezionamento merci sfuse, che ha superato ampiamente le 15.000 tonnellate diventando la seconda principale applicazione dopo gli shopper». E la performance industriale sarebbe stata ancora migliore senza l’illegalità che ancora permea il mercato degli shopper per asporto merci, con quasi 35.000 tonnellate di sacchetti non a norma nel 2018 (ossia 4 su 10 in circolazione). Complessivamente, secondo le stime presentate oggi, il comparto delle bioplastiche italiane varrebbe già oltre un miliardo di euro con il semplice rispetto delle leggi esistenti.

Rimane il fatto che l’industria delle bioplastiche compostabili rappresenti un sistema economico complesso, che sarebbe riduttivo circoscrivere ad un unico settore di mercato. La sua traiettoria di crescita è infatti «strettamente interconnessa con la raccolta del rifiuto organico e con il compostaggio industriale, che rappresenta il naturale fine vita dei manufatti compostabili, è in stretta relazione anche con l’agricoltura, sia per l’utilizzo di fonti rinnovabili e biomasse per la produzione di chimici di base e intermedi, sia come settore di impiego del compost prodotto dagli impianti e come mercato per i bioteli per la pacciamatura agricola». Al proposito, da Assobioplastiche sottolineano che l’accordo di collaborazione recentemente siglato con Federbio per l’impiego dei bioteli nell’agricoltura biologica potrà rappresentare un ulteriore volano di crescita per questa tipologia applicativa.

Sarebbe però miope negare il ruolo centrale che la produzione di imballaggi e articoli monouso mantiene all’interno del comparto: riguardo al 2018 è la stessa Assobioplastiche a evidenziare «il fortissimo recupero degli articoli monouso, in aumento di poco meno del +90%. L’urgenza della questione del climate change, una rinnovata attenzione al tema della sostenibilità ambientale da parte delle amministrazioni comunali e i comportamenti sempre più virtuosi dei cittadini hanno spinto la domanda di stoviglie monouso in bioplastica compostabile riciclabili con la raccolta del rifiuto organico, sia per l’organizzazione di eventi a grande affluenza di pubblico che per le sagre paesane o i pic-nic nelle aree protette e naturalistiche». Al proposito, l’assenza di ogni riferimento al problema dell’inquinamento marino dovuto ai rifiuti plastici non è causale. «Le bioplastiche – spiegava al proposito pochi giorni fa Marco Versari, presidente di Assobioplastiche – sono prodotti che forniscono soluzioni a specifici problemi, pensati per essere gestiti nel circuito del compostaggio industriale. Non sono la soluzione all’abbandono dei prodotti in mare o in altri ambienti, e nessuno ha mai tentato di accreditarle come tali».

E come spiega oggi Versari adesso «l’incognita maggiore per il futuro di un’industria che genera valore e sviluppa occupazione è determinata dalla direttiva Sup (Single use plastics) emanata dalla Ue», con il Consiglio europeo che l’ha approvata definitivamente nelle settimane scorse con il principale scopo di frenare proprio l’inquinamento marino da plastica. Come spiegano direttamente dal Consiglio le plastiche tradizionali (derivanti da petrolio) e quelle oxo-degradabili sono «specificamente incluse» nell’ambito della direttiva, ma al contempo il testo suggerisce che la definizione di “plastica” «dovrebbe riguardare» anche quelle biodegradabili.

In questo caso tutte le iniziative che già in questi mesi stanno promuovendo la sostituzione di prodotti monouso in plastica tradizionale con prodotti monouso in plastica biodegradabile non rispetterebbero i principi della direttiva; entro la metà del prossimo anno dalla Commissione Ue sono attese delle linee guida in proposito, ma le decisioni in merito passeranno comunque dai vari Stati membri chiamati a declinare la direttiva all’interno del proprio ordinamento normativo. «Gli Stati membri hanno tutti gli strumenti per recepire le norme della direttiva Sup tenendo conto dei singoli contesti nazionali e dei relativi sistemi di gestione dei rifiuti, differenziando le misure di riduzione in base al diverso impatto ambientale dei singoli prodotti, come espressamente previsto dalla direttiva. Ci auguriamo – si auspica Versari – che l’Italia prosegua sulla strada già intrapresa in modo lungimirante diversi anni fa volta incentivando l’uso sia di prodotti riutilizzabili che di monouso compostabili».

 

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