L’impatto economico dei corridoi europei e la Tav Torino-Lione

Analisi costi benefici o studio d’impatto? Esistono strumenti di analisi che varrebbe la pena di utilizzare per una valutazione più approfondita della Tav

[19 Marzo 2019]

Oltre alle contorsioni giuridiche del Governo, che non hanno impedito la pubblicazione del bando di gara di Telt per tre lotti di lavori del tunnel di base (con facoltà di rinuncia), la Tav Torino-Lione ha visto lo scoop del Tg de La7 che ha recentemente reso pubblico uno studio europeo (The impact of TEN-T completion on growth, jobs and the environment) sull’impatto economico degli investimenti sui 9 corridoi di mobilità, tra cui quello mediterraneo che include la Tav, previsti dal progetto Ten-T, le Reti di trasporto trans-europee.

L’interesse giornalistico era motivato dal fatto che allo studio partecipava Trt, la società di cui è presidente Marco Ponti – coordinatore del gruppo di lavoro che ha redatto l’Analisi costi benefici (Acb) sulla Tav Torino-Lione – rispetto alla quale, per il Corridoio mediterraneo, lo studio europeo presenta una visione decisamente più rosea, con risparmio di tempo (dal 30 al 44%) e creazione di 15mila posti di lavoro.

Lo studio europeo calcola gli effetti degli investimenti nel periodo 2017-2030, attraverso un modello di trasporto, Trust, sviluppato da Trt, che simula i flussi di spostamento di merci e passeggeri in seguito alla modifica delle reti dopo l’investimento. Trust fornisce i dati a un altro modello economico di equilibrio generale, Astra, che produce i risultati a livello macroeconomico ai vari orizzonti temporali.

Già nel 2015, uno studio sull’impatto della non realizzazione dei corridoi europei, basato solo su Astra, giungeva a conclusioni simili. Quindi poco importa che la Trt abbia partecipato allo studio, al quale comunque era estraneo Ponti, ma solo che le conclusioni di uno studio europeo appaiano differenti da quelle dell’Acb. Ha quindi avuto buon gioco Ponti, intervistato, a rilevare la differenza sostanziale tra i due studi: quello europeo di impatto valuta le conseguenze economiche che in generale sono positive, mentre l’Acb deve comparare i benefici, che sono parte delle conseguenze, con i costi.

Tuttavia lo studio di impatto pone l’accento (pag.30) su gli effetti indiretti degli investimenti. Qualcosa di simile a quelli che nell’Acb (pag. 76) vengono definiti “wider benefits”, come le “variazioni delle economie di scala o di agglomerazione” che potrebbero portare alla nascita di nuove imprese più produttive, ma che l’Acb non considera perché “occorrerebbero adeguati modelli noti come Cge (Computable general equilibrium)”. Come appunto Astra, quello utilizzato nello studio europeo che distingue tre tipi di effetti: quelli diretti all’interno del settore dei trasporti, quelli diretti della costruzione delle infrastrutture, e quelli indiretti come crescita del Pil o posti di lavoro nei settori dei servizi.

Anche se non proprio esattamente, questo terzo tipo di effetti potrebbe essere assimilato a quei benefici più ampi (wider benefits) di un investimento sulla rete dei trasporti che l’Acb non considera per mancanza di tempo. Lo stesso modello Trust che simula i flussi potrebbe essere utilizzato per calcolare in maniera più precisa gli effetti della Tav. Le varie previsioni sull’andamento dei flussi lungo la Val di Susa dopo l’investimento nella Tav sarebbero dunque meglio verificate da una applicazione di Trust al solo intervento della Torino-Lione.

Gli effetti di un intervento su un tronco di una rete di trasporto sono infatti difficili da prevedere. Il sistema è complesso e solo un modello di simulazione dei trasporti a livello europeo, come Trust, potrebbe prevedere con buona approssimazione questi effetti. L’investimento è consistente e varrebbe la pena di rifare i conti dell’Acb, risolvendo anche il problema del calcolo del surplus di consumatori e produttori e l’inclusione delle accise tra i costi.

Quello che difatti risalta dall’Acb è che gli unici fattori negativi, oltre il costo dell’opera, siano accise sui carburanti e pedaggi autostradali, che sono le cose più distanti dalle motivazioni ambientali che i No-Tav avevano sempre addotto, come ad esempio la qualità delle terre di scavo che conterrebbero amianto e uranio, l’impatto dei cantieri sulla valle, le polveri sottili, il prosciugamento di falde acquifere e le frane.

L’Analisi costi benefici utilizza difatti il metodo della banca Mondiale, che raccomanda di considerare i minori pedaggi e accise tra i costi, penalizzando gli investimenti nelle reti ferroviarie. Il surplus del consumatore, cioè i benefici di chi utilizza le reti per spostarsi, è calcolato nell’Acb secondo i crismi della teoria economica in rapporto alla disposizione a pagare, che in pratica lo dimezza. Mentre il surplus dei produttori, cioè i mancati pedaggi delle concessionarie di autostrade, è semplicemente dato dalla differenza tra quanto si guadagnava prima e dopo l’intervento, senza nessun rapporto con il prezzo che il produttore sarebbe stato disposto ad accettare per quantità inferiori di quel bene o servizio, come indica la teoria economica. In altre parole, nell’Acb si utilizza un metodo asimmetrico per il calcolo del surplus tra consumatori e produttori che porta a sottostimare i benefici dei consumatori, in rapporto agli svantaggi dei produttori.

Anche l’inclusione delle mancate accise tra i costi, come perdita per lo Stato a causa della differente tassazione dei carburanti rispetto agli altri beni, andrebbe comparata agli effetti economici di un minor consumo del petrolio che è un bene quasi totalmente importato. Se il consumo diminuisce ne guadagna la bilancia dei pagamenti, il consumo dei prodotti nazionali, con le conseguenze sul reddito e le tasse indirette dello Stato. Ma questo effetto indiretto lo valuta solo un modello macroeconomico. Quindi lo scoop de La7, più che una discrepanza tra due studi, ha messo in evidenza l’esistenza di strumenti di analisi che varrebbe la pena di utilizzare per una valutazione più approfondita della Tav.