Riceviamo e pubblichiamo

L’empowerment femminile nell’era dell’Antropocene

La vera transizione ecologica può esserci solo con le donne nel ruolo di mediatrici

[13 Ottobre 2022]

L’empowerment femminile nei diversi ambiti, nella sfera politica, nel mondo del lavoro, nei  livelli retributivi e dimensioni finanziarie, nella famiglia, nell’equiparazione giuridica dei diritti, cioè a livello di legge, cultura e comportamenti, è la pietra miliare per garantire uno sviluppo sostenibile, che deve essere  inclusivo in tutti i Paesi.

La pandemia  ha evidenziato il ruolo delle donne nel sostenere la tenuta dei sistemi socio-economici e sanitari degli Stati, e la maggiore vulnerabilità a cui sono esposte.

Le donne di tutto il mondo sono state colpite in modo sproporzionato dalla pandemia, invertendo i progressi in termini di parità di genere ottenuti negli ultimi decenni. Le imprese guidate da donne hanno subito un impatto economico più negativo, soprattutto nei settori più colpiti dalla pandemia.

Nell’ambito dei lavori del G20, previsto a Bali il 15 e 16 novembre prossimi, le questioni relative all’uguaglianza di genere ed empowerment femminile sono state poste al centro delle discussioni dalla presidenza indonesiana, in particolare, sono stati stabiliti tre temi strategici principali per colmare il divario di genere:

(1) Aspetti economici dell’assistenza post-Covid19, con un’attenzione particolare al lavoro di cura non retribuito e alle opportunità mancate nel mercato del lavoro;

(2) Colmare il divario digitale di genere, con un’attenzione particolare alla partecipazione delle donne all’economia digitale e al lavoro futuro;

(3) Imprenditorialità femminile, con un’attenzione particolare alle donne imprenditrici per accelerare l’uguaglianza e accelerare la ripresa.

Nonostante sia da considerare un passo avanti importante il fatto che, a partire dagli ultimi anni, il tema dell’empowerment femminile sia stabilmente parte integrante dell’agenda dei lavori e degli impegni da assumere in seno al G20, allo stesso tempo non può essere taciuto il limite strutturale prevalente nel G20,  per esempio la disuguaglianza di genere in politica nei livelli apicali.

Le donne sono state fortemente colpite dal divario di genere durante la pandemia , poiché sono più esposte al licenziamento, hanno un’elevata probabilità di essere impiegate nel settore informale dell’economia (che spesso, purtroppo, determina assenza di diritti, protezione sociale e condizioni di lavoro dignitose).

Perdono più facilmente i loro mezzi di sostentamento, sono spesso vittime di violenza e sopportano il doppio onere in famiglia.

Ma vediamo i collegamento del cambiamento climatico con la vulnerabilità femminile. Il cambiamento climatico è stato per lo più descritto come una crisi umana e ambientale in cui il genere, l’età, la classe, l’etnia, hanno una scarsa rilevanza. La voce delle donne e di altre comunità discriminate è stata ignorata da coloro che prendono le decisioni a livello politico ed economico, che solitamente sono uomini  di classe elevata e che hanno coniato il termine Antropocene.

Antropocene racconta di nuovo la storia dell’origine maschile, dell’uomo nato da sé che inevitabilmente culmina nell’Uomo, il padrone dell’Universo, e ora il suo distruttore, e forse il suo salvatore, sostenuto dalla fiducia nell’utopia tecnico scientifica che svaluta o contrasta le azioni di conservazione della natura, la riparazione, la rinaturalizzazione e la riforestazione.

Il cambiamento climatico è presentato come una minaccia esterna che proviene da una natura adirata e fuori controllo, è discusso come un problema scientifico, che richiede complesse analisi matematiche e soluzioni tecnologiche senza alcuna sostanziale trasformazione delle ideologie e delle economie di dominio, sfruttamento, colonialismo, ovvero le asimmetrie e le ingiustizie che hanno creato, sostenuto e legalizzato le forme di sfruttamento ambientale e senza alcun dibattito pubblico.

È evidente il  fallimento delle negoziazioni a livello internazionale, la lentezza, incompatibile con l’urgenza dei problemi, e poi si fa appello alla capacità di adattarsi e al dovere di assumersi le proprie responsabilità a livello individuale. Come hanno risposto le associazioni femminili a queste insidie?

Molte sono preoccupate di affermare l’importanza delle disuguaglianze di genere in ogni aspetto della vita nel determinare il diverso impatto del cambiamento climatico su persone e gruppi, sono impegnate nelle organizzazioni non governative e nelle agenzie Onu, hanno messo in rilievo la vulnerabilità femminile nel corso delle catastrofi climatiche, l’Istituto di ricerca sul rischio e la vulnerabilità ha denunciato la mancanza di dati sulla mortalità disaggregati per sesso ed età nelle statistiche delle Organizzazioni internazionali, il rischio delle donne di incontrare la morte a causa di disastri ecologici è 14 volte superiore a quello degli uomini.

Nel ciclone che nel 1991 in Bangladesh ha ucciso 140.000 persone, il 91% delle vittime furono donne; nel caso dello tsunami a Sumatra il 75%. Confinate nelle loro case, le donne più difficilmente ricevono i messaggi di allarme; il timore di aggressioni sessuali le trattengono dall’abbandonare le loro abitazioni e dal recarsi ai rifugi; le responsabilità verso bambini e anziani impediscono o rallentano la fuga. La gravidanza è un’altra condizione che limita la mobilità; nel caso di eventi estremi le prime vittime sono le donne gravide.

Le bambine sono discriminate nella distribuzione del cibo e nelle operazioni di soccorso; ne è un esempio quel padre che durante il ciclone del 1991 in Bangladesh, non potendo salvare tutti i suoi figli, abbandonò la ragazza perché il figlio maschio “poteva garantire la discendenza della famiglia”.

Dunque, nonostante l’eguaglianza di genere sia ormai costantemente nominata nelle dichiarazioni ufficiali internazionali, manca ancora una documentazione adeguata su cui basare gli interventi per ridurre il rischio, tuttora sproporzionalmente alto per donne e bambini.

Restano immutate, e spesso aggravate, le cause sociali che determinano la vulnerabilità di donne e bambini: la disparità di reddito, l’estensione del lavoro non pagato e sottopagato, il mancato accesso alla terra. Donne e bambini sono la maggioranza nei flussi migratori, raddoppiati negli ultimi 25 e il cambiamento climatico è la causa principale delle migrazioni forzate. Nell’America centrale l’inaridimento dei suoli, la deforestazione, i conflitti hanno spinto migliaia di persone all’emigrazione verso gli Stati Uniti, flussi composti per quasi il 50% da bambine e ragazze dai 5 ai 17 anni .

Nei paesi in cui maggiore è la discriminazione verso le donne, maggiori sono i rischi che esse corrono nel caso di disastri ambientali.

Come ricorda anche l’OCSE,  l’empowerment economico delle donne è una delle componenti fondamentali per raggiungere l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile in senso più ampio. Se le donne partecipassero all’economia in modo identico agli uomini, nel 2025 aggiungerebbero al Pil annuale 28 mila miliardi di dollari, ovvero il 26%, rispetto a uno scenario di business-as-usual;

Tuttavia, è necessario affrontare anche elementi più ampi di squilibrio di potere nella società ed esaminare le cause profonde delle disuguaglianze. L’analisi scientifica recente ha dimostrato che le norme sociali e le politiche di abilitazione tra cui la parità di diritti ereditari, la parità di diritti sui beni immobili, la libertà di movimento e la parità di diritti sul lavoro sono i fattori più influenti sull’empowerment economico delle donne.

  1. Riqualificare le donne per renderle pronte al reimpiego in settori ad alta crescita nel mondo del lavoro post COVID-19.
  2. Colmare i divari retributivi di genere tra i settori e all’interno degli stessi: migliorare la qualità del lavoro e gli standard retributivi nei lavori essenziali attualmente poco retribuiti.
  3. Migliorare le reti di sicurezza sociale, in particolare per quanto riguarda l’assistenza all’infanzia.
  4. Far avanzare un maggior numero di donne in posizioni dirigenziali e di leadership, fissando obiettivi per le donne in posizioni dirigenziali a livello governativo e aziendale.

La vera transizione ecologica può esserci solo con le donne nel ruolo di mediatrici, sia alla base di una trasformazione economica globale, necessaria sia per limitare i cambiamenti climatici sia per promuovere il benessere dell’umanità e del pianeta.

di Patty L’Abbate, senatrice M5S e docente di Economia ecologica