L’educazione universale e inclusiva non è negoziabile. Troppe discriminazioni e disuguaglianze nelle scuole

Unesco: ripensare il futuro dell’educazione per il post Covid-19

[24 Giugno 2020]

L’Unesco ha pubblicato il suo Global Education Monitoring (GEM) “Inclusion and education: all means all” che chiede ai Paesi di »concentrarsi su coloro che vengono lasciati indietro e si muovono verso l’inclusione nell’istruzione – un messaggio particolarmente commovente per coloro che ricostruiscono i propri sistemi scolastici dopo l’arrivo di Covid – 19».

Il GEM 2020 invita tutti i protagonisti dell’istruzione ad «ampliare la loro comprensione dell’istruzione inclusiva per includere tutti gli studenti, indipendentemente dalla loro identità, dal contesto in cui vivono o dalle loro capacità; a credere che ogni persona sia unica, abbia potenziale e debba essere rispettata; a mettere la diversità al centro di sistemi educativi, piuttosto che vederla come un problema».

Dal rapporto annuale Unesco emerge che meno di un Paese su 10 dispone di leggi che contribuiscono ad assicurare la piena inclusione nell’educazione e constata anche «Un’intensificazione dell’esclusione durante la pandemia di Covid-19. Inoltre, circa il 40% dei Paesi a basso e medio reddito non hanno sostenuto gli scolari sfavoriti durante la chiusura temporanea delle scuole legata alle misure di confinamento.

L’Unesco esorta i Paesi anche a concentrarsi sulle persone lasciate da parte con la riapertura delle scuole «per rendere le società più resilienti e più egualitarie».

Presentando il rapporto, la direttrice generale dell’Unesco, Audrey Azoulay, ha sottolineato che «Per affrontare le sfide del nostro tempo, è essenziale evolvere verso un’educazione più inclusiva. Ripensare il futuro dell’educazione è ancora più importante dopo la pandemia di Covid-19 che ha ancora aggravato e messo in luce le ineguaglianze. L’assenza di azione ostacolerà il progresso delle società».

Il GEM Unesco rivela che «258 milioni di bambini e giovani sono totalmente privi di istruzione, la povertà è il principale ostacolo al loro accesso all’educazione. Nei Paesi a basso e medio reddito, gli adolescenti provenienti dal 20% delle famiglie più ricche hanno tre volte più possibilità di terminare il primo ciclo dell’insegnamento secondario di quelli delle famiglie più povere. Tra quelli che hanno terminato il primo ciclo dell’insegnamento secondario, gli allievi più ricchi hanno due volte più chances di possedere delle competenze di base in lettura e matematica di quelli delle famiglie più povere».

Malgrado l’obiettivo di assicurare a tutti/e la frequentazione dell’intero secondo ciclo delle scuole secondarie entro il  2030, il rapporto denuncia che «Praticamente nessuna ragazza povera che vive in ambiente rurale termina i suoi studi secondari in una ventina di Paesi, la maggior parte  dei quali nell’Africa subsahariana».

Il GEM fa notare che ancora oggi, «Gli scolari d 10 anni dei Paesi a reddito basso e medio e gli allievi che hanno ricevuto un insegnamento in una lingua diversa dalla loro lingua materna ottengono generalmente dei risultati inferiori del 34% a quelli dei parlanti nativi nei test di lettura. In 10 Paesi a basso e medio reddito, i bambini handicappati hanno il 19% di chance in meno di raggiungere un livello minimo n nella lettura rispetto a quelli che non hanno handicap».

Poi ci sono le discriminazioni sessuali: per esempio, negli Usa gli allievi LGBTI dicono tre volte più degli altri di voler restare a casa perché a scuola non si sentono al sicuro.

Il team che ha redatto il rapport Unesco ha anche pubblicato il nuovo sito web PEER, che contiene informazioni sulle leggi e le politiche riguardanti l’inclusione nell’educazione in tutti i Paesi del mondo. Uno strumento che dimostra che «Numerosi Paesi praticano ancora la segregazione nell’educazione, il che rafforza gli stereotipi, la discriminazione e l’alienazione. In un quarto dei Paesi, le leggi esigono che i bambini con handicap siano istruiti in istituti separati, una cifra che supera il 40% in Asia, in America latina e nei Caraibi.

Due Paesi dell’Africa vietano ancora l’accesso alle ragazze incinte a scuola. 117 autorizzano i matrimoni di minori, mentre 20 Paesi non hanno ratificato la Convenzione 138 dell’International labour organization che vieta il lavoro minorile. In diversi Paesi dell’Europa centrale e orientale, i bambini rom sono vittime di segregazione nella scuola obbligatoria.

In Asia, i profughi, come i Rohingyas fuggiti dal Myanmar, sono scolarizzati in sistemi di insegnamento paralleli. Nei Paesi sviluppati dell’Ocse, più dei due terzi degli allievi provenienti dall’immigrazione frequentano scuole dove rappresentano almeno il 50% della popolazione  scolastica, il che riduce le loro possibilità di successo.

Manos Antoninis, direttore del Global Education Monitoring, è preoccupato ma non rinuncia alla speranza: «La pandemia di Covid-19 ci ha offerto una reale opportunità di ripensare i nostri sistemi educativi. Ma il passaggio verso un mondo che valorizzi e accolga la diversità non avverrà da un giorno all’altro, Esiste una tensione evidente tra l’insegnamento dispensato a tutti i bambini sotto uno stesso tetto e la creazione di un ambiente dove gli allievi apprendano al meglio. Ma il Covid-19 ci ha mostrato che è possibile fare le cose diversamente se facciamo lo sforzo necessario».

I problemi purtroppo sono in famiglia, dove le credenze discriminatorie dei parenti dei bambini costituiscono un ostacolo all’inclusione: «Circa il 15% dei genitori in Germania e il 59% à Hong Kong, in Cina, temono che i bambini handicappati disturbino l’apprendimento degli altri. I genitori dei bambini vulnerabili vogliono ugualmente mandare quest’ultimi in scuole che assicurino il loro benessere e rispondano ai loro bisogni. Nel Queensland, in Australia, il 37% degli allievi delle scuole speciali hanno lasciato la scuola pubblica».

Il rapporto mostra anche che i sistemi educativi spesso non tengono conto dei bisogni specifici degli allievi: «Solo 41 Paesi nel mondo hanno riconosciuto ufficialmente la lingua dei segni e, in genere, le scuole sono più desiderose di ottenere un accesso a Internet che di occuparsi di allievi portatori di handicap. Circa 335 milioni di ragazze frequentano scuole che non forniscono loro i servizi di acqua, pulizia e igienici dei quali avrebbero bisogno per continuare ad assistere alle lezioni durante le loro mestruazioni».

Quando gli studenti non sono sufficientemente rappresentati nei programmi e nei libri nei libri di testo, possono sentirsi esclusi. Le ragazze e le donne rappresentano il 44% dei riferimenti nei libri di testo della scuola secondaria in lingua inglese in Malaysia e Indonesia, il 37% in Bangladesh e il 24% nella provincia del Punjab in Pakistan. I programmi di 23 Paesi europei su 49 non affrontano questioni di orientamento sessuale, identità o espressione di genere.

Gli insegnanti hanno bisogno, e chiedono, di una formazione sull’inclusione, che meno di uno su dieci insegnanti delle scuole elementari in 10 Paesi francofoni nell’Africa subsahariana ha detto di aver ricevuto. Un quarto degli insegnanti di 48 Paesi ha dichiarato di volere maggiore formazione per insegnare agli studenti con bisogni speciali.

Il rapporto denuncia che «Quasi la metà dei Paesi a basso e medio reddito non raccoglie dati sufficienti sull’istruzione dei bambini con disabilità. I sondaggi sulle famiglie sono essenziali per suddividere i dati sull’istruzione in base alle caratteristiche individuali. Tuttavia, il 41% dei Paesi – in cui vive il 13% della popolazione mondiale – non ha effettuato sondaggi o, quando lo ha fatto, non ha pubblicato i dati raccolti. Le cifre sull’apprendimento vengono principalmente prese dalle scuole e non tengono conto delle persone che non le frequentano.

Antoninis conclude: «C’è una mancanza di dati, che ci impedisce di avere un quadro completo della situazione. Non sorprende quindi che le disuguaglianze improvvisamente portate alla luce durante la pandemia ci abbiano colti di sorpresa».