L’economia circolare della carta non riesce a chiudersi in Italia per mancanza di impianti

Assocarta: «Se non riusciamo a recuperare gli scarti del riciclo saremo costretti a stipulare accordi per esportarli all’estero. Inutile stupirsi se i nostri concorrenti producono a prezzi inferiori, lo fanno anche recuperando i nostri rifiuti»

[31 Maggio 2019]

Il nuovo Rapporto ambientale del settore cartario, presentato ieri all’Unione industriali di Torino da Assocarta, mostra un comparto nazionale dove l’economia circolare è già oggi in gran parte realtà, ma dove ulteriori progressi sono frenati dalla mancanza sul territorio degli impianti necessari a chiudere il ciclo, a tutto vantaggio dei competitor esteri. «La carta – esordisce il presidente di Assocarta Girolamo Marchi – è un esempio di bioeconomia circolare in quanto è una tecnologia che ha saputo coniugare la sostenibilità con l’impiego di materie prime rinnovabili e il riciclo dei prodotti a fine vita».

Più in dettaglio, la carta è un materiale di origine naturale che viene prodotto a partire da cellulose provenienti da foreste gestite in maniera sostenibile. Tutta la cellulosa importata in Italia è soggetta a verifica di legalità e circa l’80% è dotata di certificazione di sostenibilità, mentre il tasso di circolarità (rapporto tra materie prime secondarie e quelle totali impiegate) di tutto il settore raggiunge il 55%, con eccellenze nella filiera degli imballaggi che ci consentono già di raggiungere l’80% di riciclo, che costituisce il nuovo obiettivo della Direttiva comunitaria da recepire.

Soprattutto, il settore della carta produce un biomateriale che viene poi riciclato dallo stesso comparto. In Italia si riciclano 10 tonnellate al minuto di carta, un giornale rientra nel ciclo produttivo in media dopo 7 giorni, una scatola entro 14 giorni e ogni anno vengono evitate 20 discariche grazie al riciclo della carta. Ma questo non significa che anche questa filiera industriale, come del resto tutte le altre, non produca scarti che è necessario gestire secondo logica di sostenibilità e prossimità.

In primo luogo raccolte differenziate non di buona qualità possono condizionare profondamente l’attività del selezionatore: standard armonizzati a livello Ue, e la recente adozione di nuove procedure per la verifica delle impurità sono strumenti essenziali per la filiera del riciclo che punta proprio alla qualità per incrementare il riciclo. «E tuttavia – sottolinea Marchi – anche il più accorto dei selezionatori può conferire una balla di carta da riciclare non perfettamente rispondente alle specifiche merceologiche. Ciò può avvenire con le materie prime vergini e quindi anche con materiali secondari derivanti dalle raccolte differenziate urbane. Di ciò nel recepimento delle nuove direttive in materia di economia circolare si dovrà necessariamente prendere atto con l’introduzione di regole e standard adeguati, pena la irrealizzabilità della stessa».

In secondo luogo la selezione e, soprattutto, il riciclo in cartiera producono degli scarti che sono limitati rispetto alle grandi quantità di materiali impiegati, ma sono in gran parte ineliminabili. Si tratta di scarti del tutto simili ai rifiuti urbani. «E come tali dovrebbe essere trattati avviandoli in via prioritaria negli impianti regionali – dichiara Marchi – Se non riusciamo a recuperare gli scarti del riciclo sarà difficile fare il riciclo e l’economia circolare».

Il pensiero corre a Paesi come Germania o Austria, dove lo smaltimento in discarica è ridotto al minimo e compensato dal fatto che il recupero energetico viene considerato un’opzione preferibile, nel rispetto della gerarchia dei rifiuti. Non è così in Italia, dove non solo non riusciamo a produrre energia dagli scarti come fanno i nostri concorrenti europei, ma non riusciamo neanche a trovare impianti per gestirli. Non riusciamo, quindi, a chiudere  il ciclo proprio in un’ottica di economia circolare.

«Se la situazione non cambia – osserva amaro Marchi – saremo invece costretti a stipulare accordi settoriali per esportare i nostri scarti all’estero. Alla faccia dei principi dell’economia circolare e, soprattutto, della bilancia commerciale del Paese. Inutile stupirsi se i nostri concorrenti producono a prezzi inferiori. Lo fanno anche recuperando i nostri scarti industriali, servizio per il quale si fanno pagare, oltre a non avere il costo energetico».