Le Regioni del sud chiedono nuove “compensazioni” per autorizzare gli impianti rinnovabili

Basilicata e Calabria si accodano alle richieste della Sicilia, ma le premesse sono già falsate: «Le rinnovabili non creano posti di lavoro e al momento non lasciano benefici sul territorio»

[6 Aprile 2023]

La rivolta della destra contro le rinnovabili riparte dal sud, ovvero proprio l’area del Paese che è chiamata a ospitare la maggior parte dei nuovi impianti, vista la disponibilità di fonti pulite sul territorio.

Dopo la Sicilia guidata da Renato Schifani, adesso anche Roberto Occhiuto (Calabria) e Vito Bardi (Basilicata) chiedono nuove “compensazioni”.

Da parte sua, Schifani ribadisce di aver «deciso di sospendere a breve le autorizzazioni. A breve, non domani. Uno spazio temporale che mi consentirà di aprire una interlocuzione con il governo per arrivare alla rivisitazione del comma 6 dell’articolo 12 del decreto legislativo 387/2003 che prevede la impossibilità per le regioni di avere compensazioni mentre le permette ai Comuni».

«Condivido la posizione del presidente Renato Schifani – afferma Occhiuto – Va modificata la norma che regola le royalty degli impianti fotovoltaici. Al momento le compensazioni vanno solo ai Comuni, occorre intervenire affinché anche le Regioni abbiano un vantaggio nel promuovere investimenti green».

Sulla stessa linea Vito Bardi, presidente di una Regione che rappresenta uno dei più importanti poli d’Italia per l’estrazione di combustibili fossili: «La Basilicata ha già inviato, il 10 febbraio scorso, al ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin le proprie proposte, in un’ottica di leale collaborazione istituzionale, per vedersi riconosciuta una quota di energia prodotta qui sul territorio. Dobbiamo dirci la verità, anche se scomoda: le ‘rinnovabili’ non creano posti di lavoro e al momento non ‘lasciano’ benefici sul territorio».

Una posizione, quella di Bardi, che non collima però con la realtà. Ad oggi in Italia si contano circa 3,1 milioni di green job o posti di lavoro “verdi”, un dato che è destinato a registrare una robusta crescita nel corso dei prossimi anni: solo nel comparto elettrico al 2030 si attendono 540mila nuovi posti di lavoro nell’ambito delle rinnovabili per raggiungere gli obiettivi Ue, secondo le stime dettagliate dall’associazione confindustriale Elettricità futura proprio al ministro Pichetto.

Guardando agli altri benefici lasciati al territorio dalle rinnovabili è inoltre utile ricordare che passa dal loro sviluppo la lotta alla crisi climatica – e alle sue conseguenze, come siccità ed eventi meteo estremi –, mentre le fonti fossili l’alimentano.

Anche per combattere gli alti prezzi energetici, l’unica soluzione strutturale passa da un maggiore sviluppo delle fonti rinnovabili in sostituzione di quelle fossili. Le fonti pulite sono già oggi più economiche, e se il loro impatto in bolletta non è ancora evidente ciò dipende dai meccanismi con cui si forma il prezzo di mercato, ancorati all’impiego di gas fossile.

Per osservare il problema da un’altra prospettiva, potrebbe essere utile chiedersi cosa lasciano ai territori locali le fonti fossili, oltre ai rischi d’inquinamento e alla certezza di crisi climatica.

Proprio la Basilicata ha firmato, lo scorso anno, una proroga decennale delle concessioni alle compagnie petrolifere in cambio di 190 milioni di euro per “progetti di sviluppo sostenibile” e soprattutto la consegna di 160 milioni di metri cubi di gas naturale all’anno alla Regione. Non pochi, ma sempre una piccola frazione rispetto a tutti i combustibili fossili estratti.

Limitando le osservazioni alle estrazioni a terra, solo lo scorso anno in Basilicata sono stati infatti prodotti 1,2 mld di Smc di gas naturale, 3,6 mld di kg di greggio e 59 mln di kg di Gpl. Quantitativi che sono confluiti semplicemente sul mercato, senza portare benefici ai cittadini locali.

Le rinnovabili, già oggi, possono offrire di meglio: la stipula di contratti a lungo termine (Ppa) permetterebbe agli acquirenti di godere di prezzi bassi e stabili, mentre gli strumenti di crowdfunding permettono alle comunità locali di investire nella realizzazione degli impianti godendo di un ritorno economico. Il vero problema però è che non ci sono abbastanza impianti rinnovabili, perché le autorizzazioni non arrivano. Soprattutto da parte delle Regioni.

Se la concessione di nuove “compensazioni” alle Regioni da parte dei proponenti potesse aiutare a superare questo collo di bottiglia, potrebbe trattarsi di un equilibrio conveniente a tutte le parti in causa, oltre che al clima. Dovrebbe però valere anche al contrario, punendo quelle Regioni che non offrono un giusto contributo alla causa climatica.

Più nello specifico, l’accordo provvisorio raggiunto tra Parlamento e Consiglio Ue sulla nuova direttiva Red prevede di inquadrare la diffusione delle energie rinnovabili come di “interesse pubblico prevalente”, il che limiterà le possibilità di obiezione legale verso i nuovi impianti. Al contempo gli Stati membri saranno inoltre chiamati a definire delle “aree di accelerazione” in cui in progetti di impianti rinnovabili possano essere sottoposti ad un iter di permitting semplificato e rapido; si parla di massimo 12 mesi all’interno di queste aree e non oltre i 24 mesi al di fuori. Ad oggi invece in Italia servono in media 7 anni. Chi paga per questi ritardi? Ad oggi non le Regioni.