Le lezioni del Covid-19 per la sostenibilità ambientale, economica e dei consumi

Il Covid-19 è un preallarme? EEA: il tempo del cambiamento è ora

[20 Gennaio 2022]

La pandemia di Covid-19 ha sollecitato azioni rapide e energiche da parte di governi e società di tutto il mondo e il 2020 è stato un anno di cambiamenti involontari e volontari e oggi l’European Environment Agency (EEA) ha pubblicato il briefing “COVID-19: lessons for sustainability?” che riflette su queste risposte e sul legame tra la pandemia e l’ambiente per trarre insegnamenti che potrebbero essere utilizzati per rendere le società più sostenibili.

Sebbene non ci  sia ancora un consenso unanime su come sia emerso l’agente infettivo SARS-CoV-2, il briefing EEA, che fa parte della serie “Narratives for change inizia  dagli avvertimenti contenuti u in uno studio del 2007 (Cheng e altri)  come esempio di preallarme: «E’ noto che i coronavirus subiscono una ricombinazione genetica, che può portare a nuovi genotipi ed epidemie. La presenza di un grande serbatoio di virus simili a SARS-CoV nei pipistrelli ferro di cavallo, insieme alla cultura del consumo di mammiferi esotici nel sud della Cina, è una bomba a orologeria. La possibilità del riemergere della SARS e di altri nuovi virus da animali o laboratori e quindi la necessità di preparazione non dovrebbe essere ignorata».

L’EEA ricorda  che preoccupazioni per il rischio di pandemie sono state sollevate in passato da varie istituzioni e governi e  che alcuni Paesi che hanno sviluppato piani e strategie specifici. Tuttavia,  anche l’allarme lanciato nel 2011 dalla Organizzazione mondiale della sanità (Oms), in seguito alla pandemia di influenza A (H1N1) del 2009, che il mondo era impreparato a rispondere a una grave pandemia che avrebbe minacciato la salute pubblica, non è stato ascoltato, anche se si è dimostrato giusto.

L’EEA ricorda che «Il progresso umano dipende dalla capacità e dalla volontà di imparare dal passato. Il modo in cui emergono gli allarmi precoci sui rischi ambientali e umani e il modo in cui vengono affrontati ci fornisce molte lezioni “tardive”. Queste lezioni possono aiutare a spianare la strada verso società più resilienti e meglio preparate. I precedenti rapporti dell’EEA descrivono casi di rischi ambientali non intenzionali causati dall’uso di sostanze chimiche o altre attività. Queste ultime lezioni evidenziano soprattutto la necessità di approcci precauzionali e di come trovare un equilibrio tra le opportunità economiche desiderate e il danno ambientale incerto».

Ma le potenziali lezioni da Covid-19 sembrano essere ancora maggiori: «La pandemia di Covid-19 ci ricorda chiaramente che la nostra identità è profondamente intrecciata con quella degli ecosistemi della Terra – si legge nel briefing EEA –  L’idea che siamo parte della natura e non separati da essa è un concetto che le nostre società sofisticate sembrano aver dimenticato».

Epidemie e pandemie hanno segnato la storia umana, ma le società e le economie globalizzate di oggi, e il modo in cui interagiamo con l’ambiente naturale, influenzano il modo in cui si sviluppano le pandemie. L?EEA evidenzia che «Non c’è dubbio che nuovi agenti patogeni vengono spesso creati all’interfaccia tra animali selvatici e domestici e umani e che questi a volte si manifestano come malattie zoonotiche». Secondo l’United Nations environment programme (Unep), «Il 60% delle malattie infettive conosciute nell’uomo e il 75% di tutte le malattie infettive emergenti sono zoonotiche». E nel  secolo scorso erano stati osservati almeno 6 focolai di nuovi coronavirus.

All’emergere delle malattie zoonotiche concorrono diversi fattori che creano contatti nuovi e diversi tra fauna selvatica, bestiame e persone: 1) crescita della popolazione e urbanizzazione rapida e incontrollata, 2) aumento della domanda di proteine ​​animali, con un conseguente aumento dello sfruttamento della fauna selvatica, intensificazione agricola e commercio, 3) pratiche di allevamento inadeguate, 4) cattiva gestione della selvaggina “informale” e dei mercati dei prodotti freschi e impianti industriali di lavorazione della carne. Inoltre, la globalizzazione del commercio internazionale e dei viaggi fanno sì che gli agenti patogeni si diffondano più rapidamente, perché, come dice l’Unep, «Le malattie possono ora spostarsi in tutto il mondo in periodi più brevi dei loro periodi di incubazione».

Ma il Covid-19 ha dimostrato che, anche nei Paesi ricchi e sviluppati, le crisi sanitarie hanno implicazioni di vasta portata per le persone e la società in generale. Il Consiglio d’Europa ha recentemente affrontato il rapporto tra pandemie e democrazia, libertà di espressione e stato di diritto e ha ricordato che «La crisi del Covid-19 non dovrebbe essere usata come pretesto per limitare l’accesso dell’opinione pubblica alle informazioni» e che «Le misure di emergenza adottate dagli Stati membri non dovrebbero minare i valori fondanti dell’Ue in materia di diritti umani, democrazia e stato di diritto».

Le strategie Ue biodiversità per il 2030 e Farm to Fork mettono esplicitamente in relazione il Covid-19 con gli attuali livelli di perdita di biodiversità. Secondo il briefing EEA, «Il senso di urgenza che accompagna il Covid-19 sembra aprire una finestra di opportunità per una maggiore consapevolezza. Numerosi commentatori, attivisti e ricercatori stanno discutendo se e come la maggiore consapevolezza creata dal Covid-19 può essere sfruttata per aumentare la consapevolezza ambientale (Beattie e McGuire, 2020) e riformulare i modelli economici (Barlow et al., 2020; The Economist, 2020) . Questo si estende anche agli Stati nazione e alle organizzazioni internazionali e sovranazionali come la Direzione generale della ricerca e dell’innovazione (DG Ricerca e innovazione, 2021), l’ Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico(OCSE, 2021) e una serie di importanti organizzazioni non governative (ad esempio l’European Environmental Bureau (EEB, 2021)), che sono coinvolte nella formulazione di strategie di trasformazione post-Covid».

Una cosa positiva che abbiamo imparato da Covid-19 è che «Le società contemporanee sono in grado di agire con la forza necessaria quando richiesto. Nuove normative possono essere applicate rapidamente, con il divieto di alcune pratiche sociali e attività economiche. Aeroporti, ristoranti, palazzetti dello sport e scuole possono essere chiusi durante una notte se il motivo è ritenuto legittimo (almeno quando è visto come temporaneo). Gli Stati membri dell’Ue hanno adottato volontariamente misure contro il Covid-19 che hanno avuto enormi costi economici, oltre a creare il rischio di recessione economica e grave disoccupazione».

L’EEA si chiede se è possibile mobilitare un livello simile di reattività per realizzare le transizioni verso la sostenibilità, facendo notare che «Anche  la stima dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di 7 milioni di morti all’anno a causa dell’inquinamento atmosferico giustificherebbe misure rigorose» ed evidenzia che «Alla luce del Covid-19, è difficile vedere come i costi economici di per sé o il rischio di recessione possano continuare ad essere utilizzati come validi argomenti contro l’azione ambientale o le trasformazioni verso la sostenibilità».

Ma l’umanità che popola il pianeta post-Coronavirus è cambiata? Secondi il briefing, «La comunità globale avrà bisogno di anni, se non decenni, per valutare l’intera portata del Covid-19 e le sue implicazioni per la nostra società, compresi i suoi impatti sulle disuguaglianze, sulla salute e sul benessere dei cittadini. Lockdowns nazionali senza precedenti, restrizioni ai viaggi e chiusura dei confini nazionali nella prima metà del 2020, e da allora, hanno portato a miglioramenti a breve termine dell’ambiente in Europa. La riduzione del traffico, della navigazione e dell’aviazione ha portato a improvvisi miglioramenti della qualità dell’aria e dei livelli di rumore, con la  concentrazione di biossido di azoto (NO2) in alcune città in calo fino al 60% rispetto allo stesso periodo del 2019. La pandemia ha avuto anche l’effetto immediato di incoraggiare le persone a scegliere modalità di viaggio più attive. L’aumento delle biciclette, in particolare, ha spinto le città a diventare più bike friendly, introducendo anche nuove infrastrutture per le biciclette. Una riduzione dell’attività umana ha dato agli habitat la possibilità di riprendersi e alle specie l’opportunità di occupare nuovi spazi e nicchie. Inoltre, i dati preliminari mostrano che le emissioni di gas serra dell’Ue sono diminuite del 10% dal 2019 al 2020».

L’altra faccia della medaglia è che la necessità di dispositivi di protezione e altri dispositivi usa e getta ha portato a un aumento della produzione e del consumo di plastica, e quindi di rifiuti di plastica.

L’EEA fa notare che «Non sono solo i cittadini che hanno dovuto cambiare le loro abitudini. Anche i responsabili politici hanno dovuto reagire rapidamente di fronte alla pandemia e ai suoi impatti socioeconomici». La Commissione europea ha risposto con NextGenerationEU, un piano di ripresa per «Aiutare a costruire un’Ue post-Covid-19 che sia più verde, più digitale, più resiliente e più adatta alle sfide attuali e future». Il briefing ricorda che «Insieme al bilancio a lungo termine dell’Ue, il volume delle risorse mobilitate per il clima e l’ambiente è senza precedenti. Questo crea speranza per immaginare un futuro diverso, lontano dalla “vecchia normalità” dell’insostenibilità. Tuttavia, resta da vedere se le risorse saranno investite in modo efficace».

E qui l’EEA chiede che gli europei facciano qualcosa che raramente hanno fatto e che ancora molti non intendono fare: «Come società, dovremmo imparare dalle esperienze passate. La crisi finanziaria del 2008-2009 ha portato a una riduzione delle emissioni, ma l’effetto è stato di breve durata. Ora, ancora una volta, l’imperativo di uscire dalla recessione economica e l’apparente resilienza di priorità politiche ed economiche insostenibili forniscono poche speranze che il pianeta post-corona sia più sostenibile, a meno che non vi sia un cambiamento attivo e consapevole nelle pratiche sociali ed economiche.  Sfortunatamente, i primi segnali non sono incoraggianti. Con la ripresa dell’attività sociale ed economica, le concentrazioni di inquinanti atmosferici sono in aumento e in alcuni casi tornano ai livelli pre-pandemia. Sono già stati emessi avvertimenti su un rapido rimbalzo della domanda globale di energia e delle emissioni di gas serra dopo il Covid-19 (IEA, 2021; Tollefson, 2021), mentre i Nationally determined contributions  a livello globale mancano dell’ambizione necessaria per mantenere il riscaldamento globale entro l’obiettivo di 2° C, per non parlare degli 1,5° C.  A livello europeo, recenti proiezioni suggeriscono che le emissioni di gas serra potrebbero tornare ai livelli pre-pandemia a meno che non vengano messe in atto misure aggiuntive».

Eppure, durante la pandemia, abbiamo lottato e imparato a far fronte alla crisi, per un certo periodo, abbiamo cambiato le nostre azioni quotidiane e riorientato le nostre priorità, valutato le cose in modo diverso e forse apprezzato di più il mondo naturale che ci circonda. Tuttavia, resta la domanda se siamo cambiati in qualche modo fondamentale o se vogliamo solamente tornare a una normalità pre-Covid che non aveva nulla di “normale”.

L’EEA sottolinea che «La pandemia di Covid-19 ha rivelato la fragilità sistemica della nostra economia e società globali. Non è esagerato affermare che attualmente viviamo in un mondo caratterizzato da molteplici crisi globali: una crisi sanitaria, una crisi economica e finanziaria, una crisi climatica e una crisi della natura. Una cosa che la storia delle pandemie ci ha insegnato è che ci si dovrebbe aspettare più pandemie e che dovremmo almeno essere preparati».

Prendere sul serio l’allarme lanciato nel 2007 da Cheng e dal suo team di scienziati significherebbe, come ha detto un rapporto PBES nel 2020  prendere seriamente in considerazione una serie di misure a livello globale, tra cui la lotta al commercio illegale di specie selvatiche, la chiusura dei mercati alimentari illegali, l’inasprimento della regolamentazione della produzione industriale di carne, il cambiamento di pratiche alimentari, sociali e culturali e, in definitiva, il cambiamento dei modelli di consumo insostenibili, l’urbanizzazione e distruzione dell’habitat naturale».

Ma anche un istu<ituzione internazionale non certo nota per il suo estremismo ambientalista come l’OCSE, nel 2021 ha evidenziatovhe «Tornare al business as usual significherebbe perdere un’opportunità vitale per affrontare le sfide ambientali, economiche, sociali e relazionali sottostanti e interconnesse che precedono il Covid-19. Un approccio well-being potrebbe guidare il processo di “ricostruire meglio”, soprattutto se sostenuto dalla consapevolezza che la salute ambientale è un prerequisito per la salute pubblica».

Non ci mancano le conoscenze o le idee per agire, ma il fattore limitante è se esiste chi sarà in grado di governare questa rivoluzione necessaria, manca chi sia disposto ad agire davvero politicamente per affrontare le forze alla base di questa e altre crisi globali.

L’EEA non sembra molto ottimista: «E’ probabile che la prossima crisi, qualunque sia la forma che assume, si rivelerà per quello che è, l’ennesimo sintomo dello stesso problema di fondo: produzione e consumo umani insostenibili. E’ questo problema cronico che continua a esprimersi in sfide che sono inquadrate o come “problemi” – da affrontare in cicli politici premeditati – o come “crisi” – che richiedono misure straordinarie e di emergenza (Lakoff, 2017). Pertanto, gli approcci di governance delle nostre società dovrebbero affrontare non solo le radici alla base dei problemi stessi, ma anche l’emergere sempre più frequente o addirittura simultaneo di quelle che consideravamo crisi eccezionali».

Per affrontare il problema della sostenibilità non più rimandabile, il briefig EEA dice che «Le pratiche sociali ed economiche devono cambiare a seconda dei diversi livelli e aspetti della società: il modo in cui viviamo le nostre vite e il modo in cui mangiamo, ci muoviamo e diamo energia alle nostre società non possono rimanere gli stessi».

Durante il lockdowns del Covid-19, l’antropologo e filosofo francese Bruno Latour  ha suggerito di considerare quali attività sospese vorremmo veder sparite per sempre e quali vorremmo riprendere; quali attività o abitudini nuove di zecca vorremmo sviluppare all’indomani della pandemia; come i lavoratori o gli imprenditori privati ​​dei diritti civili da un’economia rimodellata potrebbero essere aiutati a passare ad altri ruoli o attività più sostenibili o più resilienti.

Per l’EEA, «Sebbene questo esercizio possa essere svolto individualmente, solleva anche questioni fondamentali che meritano attenzione a livello di istituzione. Dato l’ampio riconoscimento che le transizioni alla sostenibilità dipendono dall’eliminazione graduale di alcune pratiche, l’esercizio potrebbe persino servire da ispirazione per l’ulteriore sviluppo e attuazione dell’European  Green Deal».

Il briefing conclude: «Il Covid-19 ha innescato un’azione improvvisa e energica. Le emergenze hanno le loro dinamiche e rischi, non da ultimo per la democrazia e la legalità. Eppure, abbiamo visto che, dove c’è una volontà, c’è il modo per attuala. Riflettere sulla mobilitazione e sull’impatto senza precedenti delle risposte al Covid-19 può ispirare nuovi modi di pensare e aiutare l’umanità a cogliere l’attimo e apportare un cambiamento. Se riusciamo a bloccare temporaneamente parti della società per sopravvivere alla minaccia del Covid-19, sembra del tutto ragionevole poter apportare cambiamenti sociali significativi per prevenire il Covid-22, 25 o 30, per non parlare delle altre minacce dovute al cambiamento climatico e al degrado ambientale che molto probabilmente dovremo affrontare».