Le correlazioni tra inquinamento atmosferico e Covid-19 spiegate dall’Università di Cambridge

«Con ogni probabilità gli elevati tassi di inquinamento in alcune regioni in Italia hanno contribuito ad accentuare il numero di morti, ma non bisogna dimenticare che gli studi non evidenziano gli esatti meccanismi che legano l’inquinamento al Covid-19. È necessaria maggiore ricerca»

[24 Aprile 2020]

La Medical research council (Mrc) Toxicology unit dell’Università di Cambridge ha pubblicato in via preliminare su MedRXiv uno studio volto a indagare i legami tra inquinamento atmosferico (misurato in termini di concentrazione di ozono a livello del suolo e NOx, in particolare biossido di azoto) e Covid-19 in Inghilterra. Una linea di ricerca che sta accumulando contributi da prestigiose università di tutto il mondo, ed è un bene perché il bisogno di ulteriori studi nel merito è alto: al momento la comunità scientifica non ha ancora maturato un ampio consenso sul tema, anche se gli indizi finora raccolti suggeriscono che l’inquinamento atmosferico peggiori gli impatti di Covid-19 sulla salute. Per capirne di più abbiamo contattato il ricercatore Marco Travaglio, tra gli autori della ricerca condotta all’Università di Cambridge.

Lo studio Links between air pollution and COVID-19 in England che ha condotto insieme al suo team all’Università di Cambridge ha rilevato che, in Inghilterra, un’elevata esposizione all’inquinamento atmosferico è associato a una più alta letalità di Covid-19. Pensa che una correlazione simile sia plausibile anche per il contesto italiano, dove le regioni più colpite dalla pandemia sono anche le più esposte all’inquinamento atmosferico?

«Sì, con ogni probabilità gli elevati tassi di inquinamento in alcune regioni in Italia hanno contribuito ad accentuare il numero di morti da Covid-19. Ci sono molteplici studi nella letterature scientifica cha attestano una correlazione tra livelli di inquinamento atmosferico e letalità di Covid-19. In Italia è stato dimostrato che le regioni maggiormente colpite da Covid-19 (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) sono tra le più inquinate in Europa, e lo stesso discorso è stato applicato ad altri contesti al di fuori dei confini nazionali. Ciononostante non bisogna dimenticare che gli studi sono correlativi e non evidenziano gli esatti meccanismi che legano l’inquinamento al Covid-19. Maggior ricerca è necessaria in questo settore per capire come l’infezione del virus possa essere aggravata dal contesto atmosferico a cui la popolazione è esposta».

Tra i vari fattori che incidono sulla letalità da Covid-19, quanto pensa sia rilevante l’esposizione a elevate concentrazioni di inquinamento atmosferico?

«Per quanto sia difficile esprimersi con esattezza basandosi su studi preliminari, ritengo che l’esposizione a elementi atmosferici inquinanti possa avere un peso considerevole sulla letalità da Covid-19. Nello studio prodotto da Harvard qualche settimana fa è stata osservato che alcune delle malattie che predispongono al Covid-19 coincidono con note patologie indotte da lunga esposizione ad agenti inquinanti. Questa osservazione è importante perché spiegherebbe un nesso causale tra inquinamento e Covid-19. Ciononostante, bisogna puntualizzare che in assenza di studi più dettagliati, è complesso raggiungere simili conclusioni. Per adesso, posso solo riconoscere che un’associazione esiste tra Covid-19 e l’inquinamento».

In Italia circa il 43% delle emissioni di NOx è attribuibile al traffico su strada, sebbene il suo contributo sia calato del 71% dal 1990, mentre negli ultimi trent’anni è in forte crescita (+36%) l’apporto del riscaldamento: sostituire la produzione di energia da fonti fossili con quella derivante da una fonte rinnovabile come la geotermia potrebbe contribuire a migliorare lo stato di salute delle popolazioni locali?

«Assolutamente. Come giustamente osservato, una delle maggiori fonti di NOx è la combustione di fonti fossili. Ciò significa che un aumento di energia derivante da questo processo non fa che aumentare i livelli di agenti inquinanti nell’aria. A prescindere dal Covid-19, è imperativo diminuire i livelli di emissione per proteggere la salute pubblica. Ovviamente se la nostra ipotesi si dimostra corretta e un nesso causale può essere stabilito tra inquinamento e Covid-19, mi auguro che questo possa portare a considerevoli cambiamenti nell’approccio dei vari governi alla tematica dell’inquinamento ed delle energie sostenibili. Forme di energia alternativa come la geotermia potrebbero rivelarsi fondamentali in futuro per salvaguardare non solo il pianeta ma la nostra salute».

Più in generale, l’origine della pandemia in corso sembra legata in profondità alla progressiva distruzione degli ecosistemi naturali, che espone il genere umano a un numero crescente di zoonosi: pensa sia una lettura corretta, dalla quale poter trarre una lezione?

«Sì, a mio avviso si tratta di una lettura corretta. Sta diventando sempre più evidente che la distruzione dell’ecosistema coincide con un maggiore contatto dell’uomo con varie specie animali. Questo facilita il fenomeno della zoonosi, laddove agenti patogeni vengono trasmessi da un organismo animale a quello umano. Non c’è da meravigliarsi considerato l’impatto che l’uomo ha avuto sui vari ecosistemi. Molte malattie epidemiche iniziano con zoonosi e, per quanto esista un sistema di sorveglianza delle zoonosi, gli eventi recenti legati al Covid-19 sono un triste esempio di come la nostra società non sia pronta a fronteggiare epidemie di tali dimensioni. È necessario agire velocemente ed investire risorse per lo sviluppo di vaccini contro queste malattie. La lezione da imparare da tutto questo è che gli ecosistemi vanno rispettati per evitare un aumento della trasmissione di agenti patogeni da forme di vita selvatiche a esseri umani».