Lavoro, altro che crisi: per i robot industriali è nuovo record mondiale

La Cina raddoppierà le unità installate in due anni, dietro l’Europa. E l’Italia?

[7 Aprile 2015]

La domanda globale di robot industriali ha toccato nel 2014 le 225.000 unità, di gran lunga il più alto livello mai registrato in un anno. Di ritorno dal prestigioso evento Automate 2015, da poco conclusosi a Chicago, il presidente dell’International federation of robotics riassume le prospettive di un comparto industriale che sembra vivere un roseo presente e un futuro brillante.

Secondo le stime della federazione, nell’ultimo anno le vendite dei robot industriali si sono impennate del 27% rispetto ai 12 mesi precedenti, nonostante una crisi ancora particolarmente acuta in un mercato importante come quello europeo. La richiesta maggiore è arrivata dall’Asia (in particolare dalla Cina e dalla Corea del Sud), ma nuovi livelli di picco sono stati raggiunti anche in Occidente. Il sorpasso, però, sembra ormai segnato.

«Il driver della crescita – ha sottolineato il presidente Ifr – è stata nuovamente l’industria automobilistica, seguita da quella elettronica». Si prevede che già nel 2017 ci saranno più robot industriali in Cina che in Europa e Nord America, e la “fabbrica del mondo” dipenderà sempre più dalle macchine. Le 200mila unità installate oggi si prevede che raddoppieranno a 400mila, lasciandosi alle spalle il Nord America (dove i robot industriali dovrebbero crescere fino a quota 300mila) e l’Ue (340mila le unità previste tra due anni). La Cina ancora oggi ha una bassa intensità di robot nelle proprie industrie manifatturiere – 30 robot industriali ogni 10mila operai –, dieci volte meno di quella già in dote a stati come la Germania. Se i trend attuali di crescita saranno confermati, le cose cambieranno però molto presto.

E se il principale bacino di assorbimento per le vendite di robot industriali rimane la Cina, gli altri player non rimangono a guardare. Dietro il gigante asiatico corrono anche Corea del Sud e Giappone, seguiti da Stati Uniti e Germania. Pure l’Italia, che nel manichery competenze invidiate nel mondo, le vendite di robot industriali hanno registrato nel 2013 una crescita del 7% rispetto all’anno precedente.

In un contesto occupazionale asfittico, è lecito domandarsi quali impatti abbiano tali dinamiche sul mercato del lavoro (umano).

Alla Ifr prevale, come prevedibile, la filosofia che vede la robotizzazione come leva per creare nuove professionalità, ma i dubbi in merito sono ormai molti e qualificati. Non ultimi quelli del premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, riassunti in una recente ricerca. La presenza massiccia di robot nel tessuto produttivo favorisce la diffusione di lavori qualificati per la realizzazione e gestione delle macchine, ma al contempo falcidia quelli a competenze medio-basse e, sempre più, anche tutti quei lavori (colletti bianchi inclusi) dove la routine la fa da padrona. Un problema che riguarda molto da vicino anche l’Italia, come spiegato su queste pagine anche dal sociologo Luciano Gallino.

L’ascesa dei robot nelle economie moderne va sovente di pari passo con quella della produttività totale dei fattori produttivi, che è cosa buona, ma lo è meno se quest’incremento va tutto in favore di chi le macchine le produce e possiede. «Il fatto di avere davanti un futuro che potrebbe somigliare ad una distopia ipercapitalista o a un paradiso socialista, e che nessuno ne parli della seconda possibilità – osserva l’autore britannico John lancaster, recentemente pubblicato anche da Internazionale – la dice lunga sul momento che stiamo vivendo».

La crescente robotizzazione dell’industria (che ha tra l’altro fitte radici nel mondo della ricerca di base, finanziata da istituti pubblici) pone crescenti problemi di sostenibilità sociale, e pressanti quesiti inerenti la sua sostenibilità ambientale; opporsi alla sua ascesa pare oggi insensato, ma lasciando mano libera al mercato le disuguaglianze (e la disoccupazione) sembrano destinate inesorabilmente a crescere. Un intervento pubblico di regolamentazione e redistribuzione sembra quanto mai necessario ma, mentre nella poltrona di presidente della International federation of robotics siede già un italiano –  Arturo Baroncelli –  preoccupa constatare che in Italia un serio dibattito pubblico sul tema neanche è iniziato.

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  • IFR CEO Round Table 2015 Chicago