L’austerity è “la nuova normalità”. Nel 2021 colpirà 6 miliardi di persone

«E’ tempo che i leader mondiali abbandonino una visione miope delle decisioni macroeconomiche e di politica fiscale che avvantaggiano pochi»

[14 Ottobre 2019]

Isabel Ortiz, direttrice del Global Social Justice Program della Joseph Stiglitz’s Initiative for Policy Dialogue alla Columbia University ed ex direttrice dell’International Labour Organization (Ilo) e dell’Unicef and UNICEF, e Mattehew Cummins, ex economista senior dell’United Nations development programme, dell’Unicef e della Banca Mondiale hanno pubblicato su Inter Presse Service – IPS questo interessante intervento che vi riproponiamo integralmente.

 

Mentre i ministri delle finanze si riuniscono a Washington per analizzare le sfide economiche mondiali nel meeting annuali dell’FMI e della Banca Mondiale, la maggioranza della popolazione mondiale vive con tagli per l’austerity e vede deteriorarsi il suo livello di vita.

Nei meeting che iniziano il 14 e si prolungano fino al 20, i leader mondiali dovrebbero anche preoccuparsi di vedere come invertire questa tendenza.

Dal 2010, la maggioranza dei governi, sia nei Paesi ad alto reddito che in via di sviluppo, ha implementato politiche di austerità ridicendo la spesa pubblica. Sorprendentemente, secondo uno studio globale appena pubblicato da Initiative for Policy Dialogue della Columbia University, centrali sindacali internazionali e organizzazioni della società civile, ci si aspetta che questa tendenza continui almeno fino al 2024.

L’austerità è diventata la “nuova normalità”

Basato sulle proiezioni fiscali dell’FMII (Fondo Monetario Internazionale), lo studio arriva alla conclusione che un nuovo shock di fiscal adjustment inizierà nel 2020. Per il 2021, le spese dei governi rispetto al PIL (prodotto interno lordo) diminuiranno in 130 paesi, tre quarti dei quali sono nel mondo in via di sviluppo. La ricaduta dell’austerità è sbalorditiva: entro il 2021 ne saranno colpite circa 6 miliardi di persone.

Come i governi stanno tagliando i loro bilanci e attuando le riforme di austerity? In pratica, le misure di aggiustamento più comunemente prese in considerazione nel periodo 2018-19 includono: riforme pensionistiche e della sicurezza sociale (in 86 Paesi); tagliare o limitare la spesa salariale del settore pubblico, compresi il numero e gli stipendi di insegnanti, operatori sanitari e dipendenti pubblici che forniscono servizi pubblici (in 80 Paesi); riforme della flessibilità del lavoro (in 79 Paesi); riduzione o eliminazione dei sussidi (in 78 Paesi); razionalizzare e/o concentrare ulteriormente l’assistenza sociale o le reti di sicurezza (in 77 Paesi); aumento delle imposte regressive sui consumi, come sulle vendite e le imposte sul valore aggiunto (in 73 Paesi); rafforzamento dei partenariati pubblico-privato (PPP) (in 60 Paesi); privatizzare beni/servizi pubblici (in 59 Paesi); e riforme sanitarie (in 33 Paesi).

Tutte queste misure hanno impatti sociali negativi. Di conseguenza, in molti paesi le persone anziane hanno pensioni più basse; non ci sono insegnanti, personale medico e assistenziale sufficienti e la qualità dei servizi pubblici ne risente; ci sono meno posti di lavoro e le persone lavorano in condizioni più precarie; i prezzi aumentano mentre i salari sono stagnanti; le classi basse e medie sono schiacciate e sotto pressione.

In prospettiva, le scelte macroeconomiche e fiscali fatte dai governi nell’ultimo decennio sono allarmanti. In risposta alla crisi finanziaria globale, il solo G20 ha impegnato 10 trilioni di dollari per sostenere il settore finanziario, quindi ha trasferito i costi dell’adeguamento alle popolazioni, spingendo milioni di persone verso la povertà e abbassando i livelli di vita.

La spinta mondiale verso l’austerità o il risanamento di bilancio può aggravare la crisi della crescita e dell’occupazione e diminuire il sostegno pubblico in un momento di elevate esigenze di sviluppo, aumentando le disuguaglianze e il malcontento sociale.

L’austerity viene anche utilizzata come cavallo di Troia per introdurre le politiche del “Washington Consensus” per ridurre le politiche pubbliche e lo Stato sociale. Una volta che i bilanci si contraggono, i governi devono esaminare le politiche che riducono al minimo il settore pubblico ed espandono il passaggio al settore privato, compresi i PPP. Con questo rinnovato Washington Consensus ci sono chiaramente vincitori e vinti e i governi devono valutare efficacemente e rimettere in discussione queste politiche.

L’austerità e i tagli di bilancio non devono necessariamente essere “la nuova normalità”. Esistono alternative, anche nei Paesi più poveri. I governi possono trovare ulteriore spazio fiscale per finanziare i servizi pubblici e le politiche di sviluppo attraverso almeno otto opzioni, che vanno dall’aumento del gettito fiscale progressivo, alla repressione dei flussi finanziari illeciti, al miglioramento della gestione del debito e all’utilizzo di riserve fiscali e valutarie. E questo fino all’adozione di quadri macroeconomici e fiscali più accomodanti, ridistribuendo la spesa pubblica e – per i Paesi a basso reddito – facendo pressioni per un maggiore aiuto. Tutte queste opzioni sono approvate dalle Nazioni Unite e dalle istituzioni finanziarie internazionali.

E’ tempo che i leader mondiali abbandonino una visione miope delle decisioni macroeconomiche e di politica fiscale che avvantaggiano pochi e, invece, cerchino nuovi spazi fiscali e opportunità di finanziamento per favorire una solida ripresa globale e il raggiungimento di una prosperità globale a lungo termine per tutti

di Isabel Ortiz e Mattehew Cummins