La transizione ecologica vista dal ministro Cingolani: «È un argomento molto divisivo»

«La difesa del proprio territorio da parte dei comitati locali è comprensibile, ma se vogliamo raggiungere la decarbonizzazione occorre una visione più ampia e non ideologica»

[25 Maggio 2021]

Intervistato dal presidente di Assoambiente Chicco Testa e dalla direttrice di Ricicla Tv Monica D’Ambrosio, ieri il ministro Roberto Cingolani è intervenuto a un digital talk promosso dalla fondazione Ottimisti&Razionali, dalla stessa Assoambiente e da Italia + Verde per un dibattito a tutto tondo sulla transizione ecologica.

«Un argomento molto divisivo» secondo il ministro che è stato chiamata a guidarla da Mario Draghi, dato che «la tecnologia rappresenta lo strumento centrale di questa lotta, ma nessuna tecnologia è a impatto zero. Il primo tassello della transizione – argomenta dunque Cingolani – è sviluppare una discussione pacata, priva di ideologia che è la grande nemica di qualunque scelta ponderata».

Il contrario di quanto sta accadendo, a giudicare dal moltiplicarsi delle sindromi Nimby (non nel mio giardino) e soprattutto Nimto (non nel mio mandato elettorale) sul territorio nazionale, che frenano sul nascere la spinta allo sviluppo sostenibile. Sviluppo che si nutre di impianti industriali, dalla gestione rifiuti alla produzione di energia rinnovabile, e che dunque inevitabilmente entra in conflitto con la tutela del paesaggio intesa come immobilismo, anche perché «le leggi si possono cambiare, la termodinamica no».

«Abbiamo tempi stretti per compiere passi importati nella lotta al cambiamento climatico e questo – argomenta Cingolani – comporta una trasformazione enorme che porta con sé resistenze molti forti. Dovremo installare enormi fonti di energia rinnovabile nei prossimi 9 anni per abbattere le emissioni di CO2, circa 70 gigawatt. In media fino ad oggi siamo stati in grado di ‘mettere a terra’ circa 0,8 gigawatt l’anno. È un’operazione gigantesca. La difesa del proprio territorio da parte dei comitati locali è comprensibile, ma se vogliamo raggiungere i risultati in termini di decarbonizzazione secondo i target fissati a livello globale, occorre una visione più ampia e non ideologica».

La stessa visione che sarebbe però richiesta anche al ministro, nonostante si stiano sommando indizi che vanno in direzione contraria. Ad esempio i tentennamenti davanti alla proposta avanzata dalla Regione Toscana per raddoppiare la potenza geotermoelettrica, in un’area particolarmente vocata per la qualità delle risorse geotermiche presenti, mentre il ministro sembra preferire anche per questo territorio fotovoltaico ed eolico (la cui integrazione resta comunque assolutamente necessaria, nonostante siano fonti molto più impattanti in termini di consumo di suolo) mentre è lui stesso a dire che per la transizione ecologica «non esiste una ricetta unica». Le rinnovabili, dunque, dovremmo sceglierle in base a dove e quanto sono disponibili.

Il ministro resta scettico anche su altri fronti, come quello della mobilità sostenibile. A livello globale la tecnologia di punta nel settore è quella delle auto elettriche, che già oggi in Europa hanno à una carbon footprint (analizzata sull’intero ciclo di vita) inferiore del 20-27% alle auto diesel, mentre alcuni studi indicano la concreta possibilità di raggiungere un mercato 100% elettrico al 2035. Per Cingolani invece «il raggiungimento del 60% di penetrazione dell’auto elettrica al 2030 sarà un target difficilmente raggiungibile. Anche guardando all’attuale intero ciclo di vita delle auto elettriche, c’è molta strada da percorrere per rendere le fonti energetiche totalmente rinnovabili».

Aperturista invece l’approccio al nucleare, peraltro già bocciato da due referendum in Italia: «La Francia e altri 10 Stati membri hanno recentemente richiesto se l’energia prodotta da mini-reattori nucleari possa essere definita ‘verde’. Sarebbe un cambiamento radicale delle regole. Oggi si stanno eseguendo valutazioni, su cui è ancora prematuro pronunciarsi. L’Italia deve partecipare ai programmi sovranazionali di ricerca, anche su questi temi. Bisogna avere il coraggio di non abbandonare mai l’attività di ricerca». Vero, ma tenendo conto che l’unico nucleare che potrebbe davvero essere sostenibile – quello da fusione – è una chimera che s’insegue da decenni e che nella migliore delle ipotesi secondo il Consiglio Ue produrrà energia elettrica non prima del 2050, ovvero proprio quando la decarbonizzazione dell’economia dovrà essere completata.

Resta pragmatica invece la valutazione del recupero energetico, nell’ambito dell’economia circolare: «Guardando agli obiettivi europei in tema di gestione rifiuti (urbani, ndr), in futuro il 10% dei nostri rifiuti, o anche meno, andrà in discarica, il 65% sarà riciclato e il 25% potrà essere gestito anche con tecniche di recupero energetico. La valorizzazione energetica dei rifiuti in alcuni ambiti può risultare strategica. Pensare che esistano soluzioni uguali ovunque è miope, bisogna adattare modelli e progetti a seconda dei diversi casi».