Un nuovo studio condotto da ricercatori Università Bocconi e University College London

La riduzione dei servizi pubblici ha contribuito all’ascesa dell’estrema destra in Italia

«La deprivazione del servizio pubblico porta i residenti nativi a sentirsi in competizione per l'accesso alle risorse pubbliche, in particolare se combinata con una consistente presenza di immigrati. La retorica di estrema destra trova terreno fertile in questi contesti»

[24 Gennaio 2023]

Dalle manovre economiche di austerità al taglio dei servizi pubblici locali, fino all’individuazione di un nemico “esterno” su cui scaricare le frustrazioni: è questo il percorso socioeconomico e cognitivo che ha contributo all’ascesa dell’estrema destra in Italia, come argomenta il nuovo studio (preprint, preliminare) Geographies of discontent: how public service deprivation increased far-right support in Italy.

Pubblicato da ricercatori dell’Università Bocconi e dell’University College London – non esattamente dei covi comunisti –, lo studio parte dall’osservare che in Italia «i partiti di estrema destra hanno goduto di successi elettorali più a lungo che altrove in Europa», fino a raggiungere l’apice (per ora) con Giorgia Meloni: «Il primo ministro più di estrema destra dai tempi del regime fascista di Mussolini».

Come mai? Una parte importante della risposta sta nella progressiva deprivazione di servizi pubblici – come sanità, istruzione, trasporti, igiene urbana – cui è stata sottoposta la cittadinanza italiana negli ultimi lustri, e dalla spregiudicatezza con cui l’estrema destra ha costruito il proprio consenso elettorale additando un colpevole definito (benché sbagliato) e facilmente aggredibile per questo impoverimento collettivo: gli immigrati.

Per verificare quest’ipotesi, i ricercatori hanno condotto tre diversi studi, confluiti nella pubblicazione di cui sopra. Il primo misura la distanza dei vari Comuni dagli hub di servizio pubblico (una stazione ferroviaria ben collegata all’infrastruttura nazionale; un ospedale che non sia solo un pronto soccorso; una scuola superiore) per poi confrontarla coi risultati elettorali dal 2001 al 2008, correlando la variazione di questo dato con la crescita dei voti all’estrema destra; il secondo valuta la riforma amministrativa del 2010 che – sull’onda delle politiche di austerity varate a valle della crisi del 2008 – ha portato ad accorpare “funzioni fondamentali” tra i piccoli Comuni, risultando però di fatto in una deprivazione di servizi pubblici (gestione rifiuti, polizia municipale, etc) che ha causato un maggiore sostegno all’estrema destra; il terzo guarda a sondaggi condotti tra il 2001 e il 2013, mostrando che i residenti nei Comuni più colpiti dalla riforma del 2010 sono diventati più preoccupati dall’immigrazione e si sono auto-identificati politicamente più a destra.

«La deprivazione del servizio pubblico porta i residenti nativi a sentirsi in competizione per l’accesso alle risorse pubbliche, in particolare se combinata con una consistente presenza di immigrati. La retorica di estrema destra trova terreno fertile in questi contesti», osservano nel merito i ricercatori.

Del resto, precedenti studi suggeriscono già che «ciò potrebbe essere dovuto alle élite politiche che distraggono gli elettori dalle preoccupazioni materiali guardando a quelle culturali, come la religiosità, l’etnia o il nazionalismo»; nel merito, come aggravante vale la pena osservare che la già citata riforma del 2010 è entrata in vigore sotto il Governo Berlusconi IV, che annoverava tra i propri ministri proprio Meloni (insieme ad altri politici di spicco dell’estrema destra presenti nell’attuale coalizione di maggioranza come La Russa, Calderoli, etc).

A deprivazione dei servizi pubblici avvenuta, meccanismi di paranoia collettiva hanno gioco facile a crescere scaricando la frustrazione sulla pelle dello straniero di turno, a maggior ragione se i partiti di estrema destra gettano benzina sul fuoco mascherando al contempo le proprie responsabilità.

È così che nascono le guerre tra poveri, mentre le élite economiche crescono alle spalle di quelle politiche, fino a spingere la disuguaglianza – e con essa l’insoddisfazione sociale – a livelli record: oggi lo 0,134% degli italiani più ricchi ha tanta ricchezza in tasca quanto il 60% più povero del Paese.

Un’inversione di rotta non può dunque che ripartire da qui, redistribuendo le risorse disponibili per migliorare l’accesso dei cittadini ai servizi pubblici e dunque rinsaldando il patto di fiducia tra Stato ed elettorato, indispensabile anche per qualsivoglia ambizione di sviluppo sostenibile.