Global Social Mobility Index 2020: perché le economie traggono vantaggio dalla correzione della disuguaglianza

La mobilità sociale è maggiore e la disuguaglianza minore nei Paesi con il welfare più forte (e dove si pagano le tasse)

Primi i paesi scandinavi, Italia solo 34esima, ultima dei Paesi G7 e più sviluppati. La Costa d’Avorio è il paese più ineguale del mondo

[21 Gennaio 2020]

Il World Economic Forum (Wef) in corso a Davos ha presentato il nuovo Global Social Mobility Report, realizzato in base a un nuovo indice che misura la mobilità sociale – e quindi la disuguaglianza – in 82 Paesi del mondo e sottolinea che «Il principale del rapporto è che la maggior parte delle economie non riesce a fornire le condizioni in cui i suoi cittadini possono prosperare, spesso con un ampio margine. Di conseguenza, le opportunità di un individuo nella vita rimangono legate al loro status socioeconomico alla nascita, rafforzando le disuguaglianze storiche. Questo è un grosso problema non solo per gli individui, ma anche per la società e l’economia. Il capitale umano è la forza trainante della crescita economica. Di conseguenza, tutto ciò che mina la migliore allocazione di talenti e impedisce l’accumulo di capitale umano può ostacolare in modo significativo la crescita. La scarsa mobilità sociale unita alla disuguaglianza di opportunità è alla base di questi attriti, suggerendo che se il livello di mobilità sociale aumentasse, potrebbe fungere da leva per la crescita economica».

La mobilità sociale può essere intesa come lo spostamento “verso l’alto” o “verso il basso” della condizione socio-economica di una persona rispetto a quella dei suoi genitori. «In termini assoluti – spiegano ancora i ricercatori del Wef – è la capacità di un bambino di vivere una vita migliore rispetto ai suoi genitori. D’altra parte, la mobilità sociale relativa è una valutazione dell’impatto del background socio-economico sui risultati di un individuo nella vita. Può essere misurato in base a una serie di risultati che vanno dalla salute al rendimento scolastico e al reddito».

Nell’epoca del neoliberismo e della neodestra sovranista la mobilità sociale è diventata un gigantesco problema: mentre la povertà estrema è diminuita in molti Paese, l’ingiustizia erconomica e sociale è in crescita e sul banco degli imputati ci sono la globalizzazione e la tecnologia ma, come evidenzia il rapporto, «Ci sono una moltitudine di ragioni – non ultima delle quali è una cattiva elaborazione delle politiche – e rimediarvi è responsabilità di una serie di parti interessate».

Diversamente da altri metodi, il Global Social Mobility Index prende in considerazione quel che «Un Paese può fare in modo olistico per favorire la relativa mobilità sociale per tutti i cittadini». Di solito gli indici che si occupano di disuguaglianza analizzano la mobilità sociale attraverso le generazioni, confrontando i guadagni dei giovani con quelli dei loro genitori, oppure si concentrano sulla disuguaglianza del reddito. Secondo il Wef, il problema con questi approcci è che si occupano dell’effetto di misure adottate 30-40 anni fa. Invece, il Global Social Mobility Index «si concentra sui driver della mobilità sociale relativa anziché sui risultati. Esamina politiche, pratiche e istituzioni. Ciò gli consente di effettuare confronti efficaci tra regioni e generazioni. Utilizza 10 pilastri, che a loro volta sono suddivisi in cinque determinanti della mobilità sociale: salute, istruzione, accesso alla tecnologia, opportunità di lavoro, condizioni di lavoro e salari equi e, infine, protezione sociale e istituzioni inclusive».

Una delle raccomandazioni chiave del rapporto è la necessità di un nuovo standard che potrebbe essere utilizzato per identificare le azioni politiche prioritarie e le pratiche commerciali che migliorerebbero la mobilità sociale. Comunque, il Global Social Mobility Index rivela che «Esistono solo poche nazioni con le giuste condizioni per favorire la mobilità sociale». Inoltre, la maggioranza dei Paesi, Italia compresa, mostra scarse performance in quattro aree: salari equi, protezione sociale, condizioni di lavoro e apprendimento permanente.

Per l’Index Wef, «Il raggiungimento di livelli più elevati di mobilità sociale deve essere percepito come un elemento importante di un più ampio spostamento verso un modello di capitalismo basato sugli stakeholder».

Le disuguaglianze non stanno aumentando solo nei Paesi ricchi, ma anche in quelli emergenti che hanno registrato una rapida crescita e «Nella maggior parte dei Paesi, gli individui di alcuni gruppi sono storicamente svantaggiati e la scarsa mobilità sociale perpetua e aggrava tali disparità. A loro volta, questi tipi di disuguaglianze possono minare la coesione di economie e società».

Nel complesso, i paesi scandinavi – dove ha resistito lo stato sociale socialdemocratico a forte intensità di occupazione pubblica e con un alto ed equo livello di tassazione, così forte che nemmeno i governi di destra hanno avuto il coraggio di intaccare più di tanto – sono quelli meno disuguali e con la migliore mobilità sociale : la Danimarca è in testa alla classifica con un punteggio di mobilità sociale di 85,2, seguito da vicino da Finlandia (83,6), Norvegia (83,6), Svezia (83,5) e Islanda (82,7). Nonostante questo modello sia proprio quello che il neoliberismo ha alacremente lavorato per smantellare (riuscendoci nel resto del mondo), il Wf evidenzia che «Queste nazioni combinano accesso, qualità ed equità nell’istruzione, offrendo al contempo opportunità di lavoro e buone condizioni lavorative, insieme a una protezione sociale di qualità e istituzioni inclusive».

L’Italia è sideralmente lontana: 34esima con soli 67.4 punti, praticamente ultima tra i Paesi del G7 e più sviluppati, mentre la Germania si piazza all’11esimo posto, la più socialmente mobile tra i Paesi del G7 con 78,8 punti, seguita dalla Francia (12esima – 76,7), dal Canada (14esimo – 76,1), dal Giappone (15esimo – 76,1) dal Regno Unito (21esimo 74,4) e anche gli Stati Uniti iperliberisti precedono l’Italia piazzandosi al 27esimo posto con 70,4 punti. E pensare che in Italia in molti continuano a ripetere il mantra del costo del lavoro troppo alto, delle pensioni insostenibili e del welfare “socialista” che la avrebbero portata alla crisi economica e sociale che stiamo vivendo…

Quanto a mobilità sociale e ineguaglianza l’Italia è poco sopra la Russia, 39esima con 64,7 punti e prima tra le grandi economie emergenti del mondo. La Russia degli oligarchi plurimiliardari e dei pensionati in miseria , è la più socialmente mobile del gruppo BRICS: precede la Cina “comunista” che si piazza solo al 45esimo posto (61,5 punti), seguita da Brasile (60esimo – 52,1), l’India delle caste (76esesima – 42,7) e il Sudafrica che sconta ancora l’eredità dell’Apartheid (77esimo con 41,4).

Dietro ci sono solo Bangladesh, Pakistan, Camerun e Senegal, con la Costa d’Avorio – spesso portata ad esempio come Paese virtuoso dalla cancellerie occidentali – che chiude la classifica delle disuguaglianza con soli 34,5 punti.

Il rapporto evidenzia che «La globalizzazione e la Quarta rivoluzione industriale hanno generato benefici significativi, ma hanno anche esacerbato le disparità. La Quarta Rivoluzione Industriale, e con essa, continui e futuri sconvolgimenti nei mercati del lavoro, probabilmente aggraveranno le differenze nella mobilità sociale per quei paesi impreparati a sfruttare nuove opportunità. A livello globale, la quota di reddito da lavoro in calo rispetto ad un aumento della quota da reddito del capitale ha guidato in modo significativo la disuguaglianza economica e ha provocato un declino delle pari opportunità. Ciò si riflette nelle enormi disparità salariali, che sono cresciute esponenzialmente dagli anni ’70». Negli Usa, nel 2018 l’1% dei più ricchi ha guadagnato il 158% in più rispetto al 1979, mentre il 90% con redditi più bassi ha visto i suoi redditi aumentare del 24%.

Le cause spesso citate di questa polarizzazione sono la globalizzazione e la tecnologia, l’indice mostra chiaramente che la globalizzazione «ha aumentato le disparità all’interno dei Paesi trasferendo posti di lavoro poco qualificati in settori ad alta produttività nelle economie ad alto reddito dalle controparti a basso reddito. Ciò ha effettivamente penalizzato i lavoratori in luoghi e tipi di lavoro specifici. Allo stesso tempo, la tecnologia ha polarizzato le disuguaglianze riducendo la domanda di posti di lavoro poco qualificati e premiando in modo sproporzionato lavori altamente qualificati. Ad aggravare tutto questo è stato il ruolo di cosiddetti marchi “superstar” che hanno profitti elevati e una bassa percentuale di manodopera e, come modelli di grande produttività, sono arrivati ​​a dominare sempre più i mercati».

Per quanto riguarda la tecnologia le cose sono ancora confuse: l’index rivela che «Nella maggior parte dei Paesi, la scarsa mobilità sociale è legata a problemi di sviluppo economico che vanno oltre il reddito» e che quindi « il “salto di qualità digitale” non avverrà se questi problemi non vengono affrontati sistematicamente. Più positivamente, la tecnologia ha il potenziale per livellare le barriere all’ingresso nella conoscenza, ma solo se le condizioni sono favorevoli».

I problemi sono giganteschi e riguardano la natura stressa del neo-capitalismo, il Wef è convinto che risolverli è possibile ma «richiede un’azione concertata, volontà politica e tempo» e «i governi devono svolgere il ruolo di equalizzatore, livellando le condizioni di parità per tutti i cittadini, indipendentemente dal loro background socioeconomico».

Per questo il rapporto suggerisce alcune misure da prendere urgentemente:

Creare un nuovo modello di finanziamento per la mobilità sociale: migliorare la progressività fiscale sul reddito personale, politiche che affrontino la concentrazione della ricchezza e riequilibrino ampiamente le fonti di tassazione possono sostenere l’agenda della mobilità sociale. Tuttavia, ancora più importante è che il mix di spesa pubblica e incentivi politici deve cambiare per porre maggiormente l’accento sui fattori della spesa sociale.

Maggiore sostegno all’istruzione e all’apprendimento permanente: mirato a migliorare la disponibilità, la qualità e la distribuzione dei programmi di istruzione, nonché una nuova agenda per la promozione dello sviluppo delle competenze durante la vita lavorativa di un individuo. Queto include un nuovo approccio al finanziamento congiunto di tali sforzi tra il settore pubblico e privato.

Sviluppare un nuovo contratto di protezione sociale: ciò offrirebbe una protezione olistica a tutti i lavoratori indipendentemente dal loro status occupazionale, in particolare in un contesto di cambiamenti tecnologici e transizioni industriali, che richiedono un maggiore sostegno per le transizioni lavorative nel prossimo decennio.

Gli esperti Wef fanno notare che «Le evidenze suggeriscono che le imprese che antepongono uno scopo ai profitti ottengono risultati migliori a lungo termine. Osservando esclusivamente un caso aziendale, le aziende si rendono sempre più conto di affrontare gli stessi rischi derivanti dalle sfide di sistema, inclusa la disuguaglianza. Contribuendo a rendere le società più eque, crescono le basi dei consumatori, gli ambienti operativi diventano più stabili e c’è maggiore fiducia tra clienti e le parti interessate. Inoltre, pagare salari equi ed eliminare il divario retributivo di genere sarà essenziale per rafforzare la mobilità sociale».

In particolare, il rapporto suggerisce che le imprese prendano l’iniziativa, «Soprattutto promuovendo una cultura della meritocrazia nelle assunzioni, fornendo istruzione professionale, ricollocamento e riqualificazione nonché pagando salari equi. Questo comprende piani settoriali specifici di settore per affrontare le disuguaglianze storiche all’interno e tra i settori». Inoltre, le imprese dovrebbero creare piani d’azione specifici per ciascun settore: «sono necessari per affrontare i cambiamenti nella disuguaglianza tenendo conto delle diverse circostanze di ciascun settore.

Klaus Schwab, fondatore e presidente esecutivo del World economic forum, conclude:

La bottom line è che le imprese possono aiutare a migliorare la mobilità sociale, ma le pratiche commerciali devono essere aggiornate. Le conseguenze sociali ed economiche della disuguaglianza sono profonde e di vasta portata: un crescente senso di ingiustizia, precarietà, percezione di perdita di identità e dignità, indebolimento del tessuto sociale, erosione della fiducia nelle istituzioni, disincanto verso i processi politici ed erosione del contratto sociale . La risposta delle imprese e del governo deve includere uno sforzo concertato per creare nuovi percorsi di mobilità socioeconomica, garantendo a tutti le giuste opportunità di successo».