La geotermia italiana vista dall’Osservatorio Nimby Forum

Nell’ultimo anno diminuiscono gli impianti contestati, che rappresentano il 2,21% sul totale. Ma non si tratta necessariamente di una buona notizia

[17 Dicembre 2018]

È stata presentata a Roma nei giorni scorsi la nuova edizione dell’Osservatorio Nimby Forum, l’unico database nazionale che dal 2004 monitora in maniera puntuale la situazione delle contestazioni contro opere di pubblica utilità e insediamenti industriali in costruzione o ancora in progetto.

Una fotografia aggiornata del fenomeno Nimby (Not In My Back Yard, “non nel mio cortile”), che introduce un elemento di interessante discontinuità rispetto al passato: dopo anni di crescita nel 2017 c’è stata una riduzione nel numero assoluto degli impianti contestati, scesi a 317 contro i 359 censiti nel 2016, con un decremento dell’11,7%.

Sul totale delle opere contestate, 80 sono i casi emersi per la prima volta nel 2017: anche in questo caso si registra un decremento (del circa 31,6%) rispetto ai 119 nuovi focolai apparsi nel 2016. Si tratta di una dinamica che riguarda anche il mondo della geotermia.

L’Osservatorio Nimby Forum dell’anno scorso censiva infatti 11 centrali geotermiche su 359 impianti contestati in totale (circa il 3%, dunque), mentre il rapporto di quest’anno dà conto di 7 centrali geotermiche contestate su un totale di 317 impianti (2,21%). Ma non si tratta necessariamente di una buona notizia. Dalla XIII edizione dell’Osservatorio Nimby Forum emerge piuttosto un cortocircuito: meno progetti, meno processi autorizzativi, meno contestazioni.

«La storia è ciclica e si ripete: per la seconda volta in 13 anni diminuiscono i casi di Nimby e per la seconda volta le motivazioni sono simili, segno che il Paese sta rallentando, quasi fosse vittima di un incantesimo – commenta Alessandro Beulcke, ceo di Beulcke+Partners, l’agenzia che promuove l’Osservatorio Nimby Forum – Abbiamo notizia di una diminuzione del numero di procedure nazionali di VIA (Valutazione di Impatto Ambientale, ndr), per cui vediamo un collegamento con la diminuzione delle contestazioni sui progetti verso cui tradizionalmente si esprime dissenso».

Il paradosso è che tale dissenso si concentra soprattutto proprio verso quegli impianti che invece nascono per indirizzare il Paese verso un modello di sviluppo più sostenibile. A guidare la classifica dei comparti industriali più contestati troviamo quello energetico con il 57,4%, e – scendendo nel dettaglio – il settore energetico vede le opposizioni orientarsi in maniera preponderante verso gli impianti da fonti rinnovabili con 55 impianti contestati, all’incirca il 73,3% sul totale del comparto. A guidare la classifica per tipologia sono le centrali a biomasse (35), seguite a ruota da impianti eolici (7) e centrali geotermiche (7).

I dati restituiscono così nuovamente l’immagine di un Paese immerso nelle contraddizioni: da una parte le reazioni “nimby” riservate a questi progetti sui territorio, dall’altra il sostegno alle energie rinnovabili che emerge con costanza da ogni altra rilevazione (ad esempio per il sondaggio Eurobarometro 2017, l’86% degli italiani ritiene abbastanza o molto importante incrementare la quantità di energia rinnovabile utilizzata).

Un ulteriore paradosso riguarda i primi attori delle dinamiche Nimby attive in Italia. Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio, che da sempre raggruppa i soggetti contestatori in 5 categorie (popolare, politica, enti pubblici, associazioni ambientaliste e associazioni di categoria e sindacati) anche nel 2017 nella maggioranza assoluta dei casi (51,6%) sono proprio enti pubblici e politica – forti rispettivamente del 26,3% e 25,4% delle contestazioni – a opporsi a impianti e opere pubbliche, seguiti dalla matrice popolare (comitati, etc) con il 34,6% e associazioni ambientaliste (9,6%).

«Come siamo arrivati a questa deriva anti-industrialista? Come Nimby Forum – commenta Beulcke – lo diciamo da anni: è un problema di comunicazione. E chi dice che la comunicazione sia un corollario, si accomodi in un’altra epoca. Di più: è un problema culturale e sociale [… ] Togliere il terreno da sotto i piedi al populismo è una responsabilità di tutti, per assistere finalmente a dibattiti informati, che permettano azioni politiche volte al bene comune, oltre il consenso di breve termine. È la base per nuove relazioni positive nella comunità, oltre le paure, il dissenso facile e l’incomprensione».