La disuguaglianza cresce ancora, e gli obiettivi Onu di sviluppo sostenibile si allontanano

Stefanini: «Le analisi dell’ASviS mostrano chiaramente che l’Italia non è su un sentiero in linea con i goal dell’Agenda 2030 e la crisi in atto impatta negativamente su ben nove di essi»

[15 Dicembre 2020]

Nel 2015, insieme ad altri 192 Paesi, l’Italia ha preso l’impegno a raggiungere i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile – suddivisi in 169 target – individuati dall’Onu nell’Agenda 2030, ma a soli 10 anni dal traguardo i risultati positivi si contano sulle dita di una mano. Anzi meno: dall’analisi basata sulle tendenze degli ultimi anni emerge che l’Italia «potrebbe riuscire» a centrare i target quantitativi associati a tre obiettivi. Un «progressivo avvicinamento» si potrebbe determinare in altri quattro casi, mentre «negative o decisamente negative appaiono invece le tendenze per i rimanenti 14 target quantitativi».

È questo il quadro della situazione tratteggiato dall’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile – che con i suoi oltre 280 aderenti è la più grande rete di organizzazioni della società civile mai creata nel Paese – secondo il report I territori e lo sviluppo sostenibile presentato stamani.

«Le analisi dell’ASviS – commenta il suo presidente, Pierluigi Stefanini – mostrano chiaramente che l’Italia non è su un sentiero in linea gli obiettivi dell’Agenda 2030 e la crisi in atto impatta negativamente su ben nove di essi. Per questo è necessaria e urgente una mobilitazione di tutte le energie sociali, civili, economiche e istituzionali del Paese ed è fondamentale l’impegno dei territori, e delle loro istituzioni».

Anche perché se il quadro generale resta desolante, a livello locale buoni esempi non mancano. Entro il 2030, ad esempio, oltre il 60% delle regioni potrebbe riuscire a ridurre il tasso di mortalità, l’abbandono scolastico e circa il 50% ad aumentare l’uso di energie rinnovabili, in linea con i target dell’Agenda 2030. Non riuscirà invece, a meno di un profondo cambiamento delle politiche, a ridurre le disuguaglianze di reddito. E non a caso è proprio la disuguaglianza uno dei maggiori talloni d’Achille nel faticoso percorso nazionale verso la sostenibilità.

Lo sviluppo sostenibile poggia infatti invariabilmente su tre assi – sostenibilità ambientale, sociale ed economica – eppure per progredire sul campo dell’uguaglianza non sono bastate le misure messe in campo negli ultimi anni. Neanche il cosiddetto reddito “di cittadinanza”, anche perché trattatisi di una creatura assai annacquata rispetto alle prospettive inizialmente avanzate dal M5S, che prevedevano stanziamenti pari a circa 16 mld di euro l’anno. Come risultato oggi il patrimonio del 5% più ricco degli italiani supera quello dell’80% più povero, mentre – guardando al reddito – oltre il 70% della popolazione italiana è più povera di 30 anni fa. Minando alla base quella coesione sociale necessaria per portare avanti le riforme necessarie per progredire anche in campo ambientale ed economico.

L’arrivo della pandemia, poi, non ha fatto altro che peggiorare la situazione. «La crisi – argomentano dall’ASviS – sta ampliando drammaticamente le diseguaglianze sociali. Durante il lockdown, i lavoratori nei settori bloccati mostrano livelli medi dei salari decisamente inferiori rispetto agli occupati nei settori essenziali, una differenza spiegata dall’instabilità e l’inattività lavorativa nei primi. Inoltre, nel secondo semestre del 2020 si evidenzia il calo del tasso di occupazione giovanile tra i 15 e i 34 anni (-3,2%) e di quello degli stranieri (-5,5%) rispetto a una variazione media pari a -1,9%».

Per imboccare la retta via dell’Agenda 2030 prima che sia troppo tardi, l’ASviS suggerisce di legare una stagione di profonde riforme all’arrivo dei fondi europei per la ripresa post-Covid. In particolare, in vista della predisposizione finale del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), l’Alleanza propone di coordinarlo con il Programma nazionale di riforme (Pnr) come «Programma quadro per lo sviluppo sostenibile 2021-2026» che metta a sistema le molteplici Strategie settoriali e assuma la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile (SNSvS) in corso di aggiornamento come scenario al 2030; di costruire, quindi, i necessari sistemi di monitoraggio sulla base dei goal dell’Agenda 2030, i quali vanno però assegnati in modo differenziato alle Regioni e ai territori per stimolare un percorso di convergenza verso gli obiettivi al 2030.

Anche perché dal report ASviS, che ha sintetizzato oltre 100 indicatori elementari riferiti al periodo 2010-2019 sulla performance nazionale, emerge un dato quasi paradossale: se gran parte delle regioni e delle città metropolitane usano l’Agenda 2030 come riferimento concettuale e come strumento pratico per coordinare meglio le politiche settoriali di propria competenza, il Governo nazionale stenta ancora ad allinearsi a questa impostazione (con la sola eccezione del Piano Sud 2030).