L’impatto ambientale può calare, ma non c'è sviluppo sostenibile

La demografia pesa sui conti: l’Italia del 2070 rischia di perdere 560 mld di euro l’anno

Blangiardo (Istat): negli ultimi 14 anni abbiamo già perso il 14% delle nascite

[26 Agosto 2022]

Dal 2014 a oggi l’Italia ha perso 1,3 milioni di persone residenti, e tra dieci anni – continuando di questo passo – ce ne saranno altre 1,2 milioni in meno: è il quadro di una demografia in profonda recessione, quello delineato ieri al Meeting di Rimini da Giancarlo Blangiardo, presidente dell’Istat.

E allargando lo sguardo ai prossimi decenni, il dato continua a precipitare. Oggi in Italia si contano 58,87 mln di residenti, ma nel 2070 saranno 11 mln in meno. Con profonde ripercussioni anche sull’economia: «Il Pil di oggi è circa sui 1.800 miliardi di euro, nel 2070 avremo qualcosa come 1.200 miliardi, cioè 560 miliardi in meno, ossia un 32% di Pil in meno solo per il cambiamento di carattere demografico», sottolinea Blangiardo.

Non si tratta di scenari ineluttabili: la demografia non è un dogma, ma servono tempo, attenzione e risorse per cambiarne la dinamica. Soprattutto in un Paese come l’Italia, dove ormai da anni si tratta di un tema trascurato da istituzioni e politica. Col risultato che ormai non solo le culle sono vuote: mancano anche le mamme.

Nei primi 5 mesi del 2008 – l’anno della Grande recessione, l’ultimo prima del crollo del reddito medio nazionale –  nascevano in Italia 232mila bambini, mentre nei primi 5 mesi del 2022 sono stati solo 149mila (-36%). Un dato che si spiega (anche) col minor numero di donne in età riproduttiva: queste mamme potenziali erano 14 mln nel 2008, oggi sono 11,7 e tra 30 anni saranno 9 mln.

Dal punto di vista della sostenibilità ambientale, tutto questo potrebbe non essere un problema, anzi. Fare meno figli è l’azione individuale col maggior impatto per la riduzione delle emissioni climalteranti, e non a caso il tema è entrato da tempo nell’agenda ambientalista.

Ma la sostenibilità è anche sociale ed economica, e su questi fronti i problemi aumentano non poco. Soprattutto perché la popolazione italiana non sta semplicemente diminuendo, ma sta andando in contro ad un fenomeno chiamato “degiovanimento”: la popolazione anziana cresce mentre precipita la popolazione attiva, creando pericolosi squilibri che contribuiscono a minare ulteriormente la tenuta del nostro sistema di welfare.

Cosa possiamo fare? Sul fronte internazionale, il ruolo dei migranti è una leva di sviluppo che è necessario provare a governare per riequilibrare almeno in parte un contesto che vede poche aree geografiche – l’Africa, sostanzialmente – con una popolazione ancora in crescita al 2100 mentre le altre avranno da tempo raggiunto il picco (l’Europa già da prima del 2025). Le ultime previsioni Onu mostrano un’Italia composta da 52,2 mln di abitanti nel 2050 che scenderanno ulteriormente a 36,9 nel 2100.

In questo contesto, nonostante le pulsioni razziste che attraversano ancora buona parte della politica (come dell’elettorato) di destra e non solo, autorevoli studi mostrano già che «un fabbisogno di 50 mila nuovi lavoratori non qualificati all’anno provenienti da fuori Nordest è una stima realistica», ad esempio.

Ma ovviamente non basta aprire agli ingressi di immigrati dall’estero, senza valorizzare al contempo le risorse interne e creare un ecosistema in grado di favorire lo sviluppo sostenibile del Paese.

Al proposito, un recente lavoro di ricerca condotto dall’Agenzia europea dell’ambiente intreccia le grandi transizioni che stiamo attraversando – demografica, ecologica, tecnologica, finanziaria – mettendo al centro il tema del lavoro e (dunque) delle politiche formative.

Senza dimenticare che non c’è futuro, per il nostro Paese, finché non riuscirà a dare il giusto valore ad una risorsa sempre più scarsa come sono i giovani. Dal 2000 sono emigrati in 345mila, mentre quelli occupati in Italia sono 2,5 milioni in meno; al contempo, quelli che sono rimasti sono stati i più colpiti dall’aumento delle disuguaglianze economiche. In un contesto simile, non c’è da stupirsi se anche i (molti) giovani che desiderano una famiglia numerosa rimandino il progetto. Spesso, finché non è troppo tardi.