Realacci: «L’intelligenza umana è la fonte di energia più rinnovabile e meno inquinante»

La cultura dà da mangiare all’Italia 250 miliardi di euro, ma lo Stato la lascia affogare

Nel Paese sono 40.393 i beni culturali a rischio alluvione mentre quelli a rischio frane sono 38.829

[29 Giugno 2017]

Il rapporto 2017Io sono cultura – l’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi”, elaborato da Fondazione Symbola e Unioncamere e presentato ieri a Roma alla presenza del ministro Dario Franceschini, mostra una Paese con segno più, per quanto timido: il Sistema produttivo culturale e creativo (Spcc) italiano nel 2016 ha «prodotto un valore aggiunto superiore rispetto all’anno precedente (+1,8%), sostenuto da un analogo aumento dell’occupazione (+1,5%). Crescite lievemente superiori a quelle relative al complesso dell’economia (+1,5% di valore aggiunto e +1,3% di occupazione)».

Il report Symbola e Unioncamere si sofferma a descrivere in dettaglio questo Sistema fatto da imprese, PA e non profit che «genera 89,9 miliardi di euro e ‘attiva’ altri settori dell’economia, arrivando a muovere nell’insieme 250 miliardi, equivalenti al 16,7% del valore aggiunto nazionale». In che modo?

Sulla base dei dati del Registro delle imprese delle Camere di commercio il Sistema produttivo culturale e creativo italiano conta a fine 2016 413.752 imprese, che incidono per il 6,8% sul totale delle attività economiche del Paese; ricomprende tutte quelle attività economiche che producono beni e servizi culturali, ma anche tutte quelle attività che non producono beni o servizi strettamente culturali, ma che utilizzano la cultura come input per accrescere il valore simbolico dei prodotti, quindi la loro competitività, che nello studio vengono definite creative-driven.

Da queste imprese arriva il 6% della ricchezza prodotta in Italia nel 2016, pari appunto a 89,9 miliardi di euro. Ma non finisce qui: dato che per ogni euro prodotto dal Spcc se ne attivano 1,8 in altri settori, gli 89,9 miliardi ne ‘stimolano’ altri 160, per arrivare a quei 250 miliardi prodotti dall’intera filiera culturale, il 16,7% del valore aggiunto nazionale, col turismo come principale beneficiario di questo effetto volano.

«Cultura e creatività sono la chiave di volta in tutti i settori produttivi di un’Italia che fa l’Italia – commenta Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola – Un’infrastruttura necessaria anche per affrontare le sfide che abbiamo davanti: uno sviluppo a misura d’uomo, le migrazioni, la lotta al terrorismo, i mutamenti climatici. L’intelligenza umana è infatti la fonte di energia più rinnovabile e meno inquinante che c’è. Se l’Italia produce valore e lavoro puntando sulla cultura e sulla bellezza aiuta il futuro».

Un messaggio, questo, che non sembra però apprezzato quanto dovrebbe a livello di governo. Il rapporto presentato ieri a Roma sottolinea i buoni frutti dell’Art bonus (il credito d’imposta introdotto nel 2014 che ha stimolato donazioni per 123 milioni di euro da parte di 5.216 mecenati), ma gli sforzi istituzionali si fermano qui.

Rimangono un dato di fatto sia le cifre irrisorie destinate dallo Stato al comparto Ricerca&Sviluppo, nel 2016 «vicine ai 3 miliardi di euro», come lamentato dalla stessa Corte dei conti; l’indecente condizione di continuo precariato cui vengono lasciati i ricercatori dei principali istituti nazionali di ricerca come l’Ispra e il Cnr, che non a caso hanno manifestato nei giorni scorsi. «All’Ispra – denunciano al proposito dalla Flc Cgil – non vengono garantiti i fondi necessari per svolgere i compiti assegnati dalla legge 132/16, “Istituzione del sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente” (Snpa). In questi giorni, mentre l’Italia è colpita dall’ennesima situazione di siccità e alluvioni per effetto del cambiamento climatico, l’amministrazione non si assume la responsabilità della proroga dei contratti in scadenza al 30 giugno, pur avendo la disponibilità di fondi di progetti. Si mandano a casa 90 precari che da anni lavorano all’Ispra assicurando i servizi dell’Ente e che rappresentano le professionalità su cui si dovrà costruire il nuovo Snpa».

Eppure è proprio grazie al prezioso lavoro d’indagine portato avanti dall’Ispra e dal Centro nazionale delle ricerche che, ieri, il governo ha potuto presenziare all’evento La Cultura da salvare. Beni culturali e rischi naturali, ospitato dal Cnr. Secondo i dati mostrati, sono 40.393 i beni culturali a rischio alluvione mentre quelli a rischio frane sono 38.829: tra questi spiccano gioielli assoluti come il Pantheon a Roma o il Battistero di Firenze. Con 51 siti Unesco, l’Italia ha il primato a livello mondiale di beni culturali inclusi nella lista dei patrimoni dell’umanità, ma mostra di non sapersene prendere sufficientemente cura. La lotta contro il dissesto idrogeologico inaugurata (con merito) dal governo Renzi si muove ancora oggi troppo lentamente, rischiando di essere troppo poco – e troppo tardi.