Palagi: «Gli impatti più forti nei Paesi che dipendono largamente dal settore agricolo»

La crisi climatica sta aumentando la disuguaglianza di reddito nel mondo

Roventini: «Urgente esigenza di politiche di mitigazione e di adattamento al cambiamento climatico, combinate con interventi mirati a limitare le disuguaglianze e a favorire lo sviluppo economico»

[18 Ottobre 2022]

I cittadini e i Paesi meno responsabili delle emissioni di gas serra, saranno anche quelli più colpiti dagli effetti della crisi climatica: è in atto un gigantesco motore della disuguaglianza, di cui dobbiamo prima prendere pienamente coscienza per potervi porre un freno.

Un importante contributo in tal senso è arrivato dai ricercatori della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, che hanno appena pubblicato su Pnas un nuovo studio che combina 40 anni di dati su variabili climatiche e di disuguaglianza di reddito per oltre 100 Paesi.

La ricerca dimostra che le anomalie di precipitazione hanno aumentato le disuguaglianze di reddito: in particolare, siccità e precipitazioni estreme risultano dannose soprattutto per le persone più povere.

«Gli impatti sono notevolmente più forti nei Paesi che dipendono largamente dal settore agricolo, fino a 35 volte superiori se li compariamo con un Paese sviluppato. In queste aree, le persone meno abbienti spesso lavorano nel settore primario e la loro sussistenza dipende dalle piogge», spiega la ricercatrice Elisa Palagi.

Le proiezioni messe in fila dalla Sant’Anna non soltanto indicano che l’86% dei Paesi nel mondo diventerà più povero a causa del cambiamento climatico, ma anche che le disparità di reddito aumenteranno. «Nel peggiore degli scenari, i Paesi che dipendono fortemente dall’agricoltura vedranno un aumento del 45% della disuguaglianza di reddito, esclusivamente come conseguenza di anomalie di precipitazione. Se consideriamo anche le anomalie di temperatura, l’aumento atteso arriva al 78%», aggiunge il ricercatore Matteo Coronese.

Anche tenendo a mente che le proiezioni climatiche sono caratterizzate da elevata incertezza, le prospettive sono saldamente negative: «Ad esempio – argomenta l’economista Francesco Lamperti  nell’Africa Sub-Sahariana lo scenario più pessimista indica che la quota di reddito guadagnata dal 50% più povero della popolazione diminuirà di più del 10% come conseguenza di alterazioni nelle precipitazioni, mentre scenari ottimistici indicano effetti positivi molto piccoli. Inoltre, vi sono specifiche aree del mondo, come l’Europa, dove gli impatti proiettati sono positivi per alcuni Paesi e negativi nelle economie confinanti. Questo porterebbe ad un aumento delle disparità regionali».

Vale anche per l’Italia. Un recente report realizzato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile stima che la crisi climatica – senza adeguate azioni a contrasto, ancora possibili – acuirà ulteriormente le disuguaglianze tra nord e sud del Paese.

Del resto sono ormai molti e autorevoli gli studi accumulati in seno alla comunità scientifica mondiale sul nesso tra cambiamento climatico e disuguaglianze socio-economiche. In Europa, ad esempio, il 10% più ricco emette tanti gas serra quanto la metà più povera del continente; a livello globale, invece, è stato stimato che dal 10% più ricco della popolazione arrivi quasi il 48% delle emissioni globali, e dall’1% più ricco il 17%.

«I nostri risultati – conclude Andrea Roventini, economista della Sant’Anna – sottolineano l’urgente esigenza di politiche di mitigazione e di adattamento al cambiamento climatico, combinate con interventi mirati a limitare le disuguaglianze e a favorire lo sviluppo economico, in particolare nei Paesi più esposti. Questo mix di politiche potrebbe attenuare gli impatti diretti del cambiamento climatico, incrementare il benessere della popolazione, ridurre disparità esistenti e, allo stesso tempo, garantire una crescita sostenibile».