Ipsos, fa più paura il clima che il Covid. Ma quanta confusione sull’inquinamento da plastica

Oltre l’80% degli italiani ritiene che «il Governo dovrebbe considerare il problema ambientale come primario per il rilancio economico del Paese». Servono però idee più chiare

[4 Agosto 2020]

Con o senza Covid-19 incendi, bombe d’acqua e ondate di calore sono tornate in queste settimane a ricordarci che il clima è più in crisi dell’economia. E gli italiani sembrano non aver dimenticato il gigantesco problema: tutt’altro, almeno secondo le dichiarazioni raccolte nell’ultimo sondaggio Ipsos.

Nel mondo la pandemia da Covid-19 continua a correre, e nonostante anche l’Italia si sia scoperta più fragile di quanto si pensasse – l’Istat mostra che il 2,5% della popolazione residente ha sviluppato gli anticorpi per Sars-Cov-2, 6 volte tanto i casi intercettati ufficialmente –, dopo mesi la convivenza con il coronavirus sembra aver stabilizzato il senso di minaccia percepita. Tornando a fare spazio a paure di lungo periodo come quella legata alla clima che cambia.

Paure giustificate dai dati, visto anche che il clima italiano si riscalda già a velocità praticamente doppia rispetto alla media globale. Ecco dunque che, secondo il sondaggio Ipsos, il «72% degli italiani considera il cambiamento climatico un problema più serio sul lungo periodo della pandemia Covid-19» e riconosce al contempo il ruolo predominante del fattore umano, nel male come nel bene.

Da un lato l’imputata principale della crisi climatica in corso resta infatti l’attività umana, ritenuta «da 8 italiani su 10 come la principale responsabile della situazione attuale» (anche se tra gli scienziati climatici il consenso arriva ormai al 97% o più). Dall’altro «oltre l’80% ritiene che il Governo dovrebbe considerare il problema ambientale come primario per il rilancio economico del Paese». Una presa di posizione dunque che suggerisce dunque interventi ancora più decisi rispetto a quanto concordato in Consiglio europeo, stabilendo che almeno il 30% degli interventi per la ripresa economica post-Covid sia incentrato sul clima.

Tutto bene, dunque? Quanto raccolto da Ipsos lascia intuire un forte interesse alla transizione ecologica da parte dei cittadini italiani, ma i sondaggi naturalmente non dicono tutto. Si intravedono anzi distanze ampie tra dichiarazioni e comportamenti personali, nonché idee confuse (anche) sui principali problemi ambientali al centro del dibattito pubblico. Un problema ormai storico per le rinnovabili, ad esempio: come noto nel settore energetico italiano oltre i tre quarti delle opere contestate da fenomeni Nimby e Nimto ha a che fare con le fonti pulite, sebbene il 90% degli italiani dica di essere favorevole al loro sviluppo. Per non parlare delle contraddizioni che oggi investono l’inquinamento da plastica.

La crisi sanitaria ha messo fortemente al centro la necessità di avere prodotti percepiti – a torto o a ragione – come ‘sicuri’, preservando oggetti e cibo da contaminazioni. «Questo molto spesso ha significato un largo ricorso a prodotti usa e getta in plastica – osserva Andrea Alemanno, senior client officer di Ipsos – Per questo abbiamo voluto indagare anche se la popolazione sia ancora diffidente verso gli imballaggi di plastica o se questa sensibilità sia finita in secondo piano a causa della situazione di forza maggiore».

Il sondaggio ha confermato che il 95% degli italiani continua a ritenere la plastica un problema serio: cresce addirittura la preoccupazione generale, con il 53% che definisce la situazione già oggi molto grave (+3% vs rilevazione 2018), e anche il numero di persone che dichiarano di impegnarsi attivamente per limitare il consumo di plastica (70%, vs 61% 2018). I dati raccolti da Corepla e Fondazione per lo sviluppo sostenibile sembrano però dire altro: a marzo e aprile, mentre calavano consumi (-4%) e produzione dei rifiuti urbani (-10/14%) rispetto all’anno precedente, i rifiuti da imballaggi in plastica sono cresciuti sensibilmente (+8%), riflettendo le preferenze dei consumatori.

«Un’ultima nota interessante viene dal ruolo della tecnologia, oggi ritenuta sempre più come un possibile alleato contro il cambiamento climatico – aggiunge Enrica Tiozzo, senior client officer di Ipsos – Cresce nelle persone la fiducia di poter fare qualcosa, non solo in ottica preventiva ma anche risolutiva. Magari proprio attraverso il progresso scientifico». Un’altra buona notizia, a meno che non si pensi di affrontare crisi climatica e inquinamento affidandosi alla decrescita infelice, ma anche in questo caso i dettagli che emergono dal sondaggio fanno riflettere.

«Ad esempio – aggiunge Tiozzo – ben 76% degli italiani oggi è convinto che in futuro sarà possibile individuare nuove tecniche che permetteranno di accelerare la degradazione della plastica». Come se il problema della plastica fosse questo. Rimanendo agli imballaggi, il segmento più visibile – sebbene non il principale – per l’inquinamento da plastica, di tutti i rifiuti di questo tipo raccolti nell’ultimo anno da Corepla il 43,39% è stato avviato a riciclo e il 48,63% a recupero energetico: la plastica che finisce in mare non sta in questi numeri, ma in quelli della spazzatura che i cittadini continuano a disperdere nell’ambiente, nonostante il 95% ritenga il materiale in sé (e non il proprio comportamento) un problema serio. Magari ripiegando sulle plastiche biodegradabili, materiali innovativi quanto importanti – anziché dal petrolio è possibile ricavarli da materie prime rinnovabili – ma a loro volta non risolutivi per contrastare questo tipo d’inquinamento.

Se dunque è fondamentale, come prescrive la direttiva Ue in fase di recepimento, ridurre il consumo di prodotti in plastica monouso, altrettanto sarebbe farlo all’interno di un dibattito pubblico realmente informato: anche perché la distanza tra sondaggi e disillusioni può essere talvolta davvero breve.