Dalla “Fabbricazione di articoli in pelle” esitano 200.718 ton/anno di rifiuti speciali

Inchiesta Blu mais, contro i rifiuti conciari nei campi agricoli servono impianti per gestirli

Secondo l’Antimafia dal 2016 sarebbero stati gettati 24mila tonnellate di rifiuti speciali su 150 ettari delle campagne fiorentine e pisane. Un problema cui può rispondere solo l’economia circolare

[10 Giugno 2020]

Quattro anni dopo l’inchiesta Demetra – con l’iter giudiziario che attende ancora una conclusione – l’ipotesi di nuovi spandimenti di rifiuti speciali sui campi agricoli torna all’attenzione dell’Antimafia di Firenze: allora nel mirino c’era lo smaltimento del pulper di cartiera, stavolta l’inchiesta Blu mais riguarda gli scarti conciari del distretto di Santa Croce sull’Arno.

Secondo l’inchiesta della Dda di Firenze, che ha portato ieri all’arresto di quattro persone, dal 2016 sarebbero stati gettati 24mila tonnellate di rifiuti speciali su 150 ettari delle campagne fiorentine e pisane: i prodotti incriminati sono i fertilizzanti Natifer e Carbocal – per i quali già l’autunno scorso l’Arpat parlava di potenziali contaminazioni a Pontedera – prodotti dal Consorzio Sgs a partire dal carniccio trattato dalla stessa società (fino ad un ammontare di 80mila tonnellate l’anno) cui aderiscono 230 concerie. Solo che secondo l’inchiesta non si tratta di fertilizzanti, date le alte concentrazioni rilevate di sostanze come cromo esavalente e idrocarburi, ma di una strategia per risparmiare sullo smaltimento di rifiuti speciali, fanghi e carniccio. Da qui il sequestro preventivo di 3 milioni e 273 mila euro nei confronti del Consorzio – l’illecito profitto derivante dal mancato conferimento in discarica dei rifiuti speciali – oltre che di 300 mila euro nei confronti di due agricoltori che gestivano i campi.

Sarà l’iter giudiziario a valutare la consistenza delle accuse, ma l’inchiesta torna già a colpire un nervo scoperto per il tessuto industriale (e la gestione dei relativi rifiuti) toscano.

Nella nostra regione ogni anno vengono prodotti circa 10 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, e non abbiamo abbastanza impianti per gestirli secondo logiche di prossimità e sostenibilità: anche l’ultimo rapporto pubblicato dall’Ispra nel merito testimonia un crescente ricorso all’export, nonostante la produzione di questi rifiuti sia in (leggero) declino da due anni.

In questo contesto le concerie toscane, protagoniste di un settore economico la cui eccellenza toscana è riconosciuta nel mondo, sono attori di primo piano: dalla Fabbricazione di articoli in pelle e simili esitano ogni anno 200.718 tonnellate di rifiuti speciali, e altri 31.893 arrivano dal settore Confezione articoli di abbigliamento; Confezione di articoli in pelle e pelliccia. Se sul territorio non ci sono impianti sufficienti a gestirli in sicurezza e a prezzi ragionevoli (legati a loro volta alla presenza di una dotazione impiantistica adeguata), dato che la produzione delle concerie continua nel tempo, la “soluzione” è quella di ricorrere allo spandimento nei campi. Anche illegalmente, a quanto sembra.

Ad oggi presumibilmente la situazione è un po’ migliore rispetto a quella, relativa agli ultimi anni, che ha portato all’inchiesta Blu mais. Lo scorso ottobre la Regione Toscana, il Consorzio conciatori e Rea Impianti (oggi Scapigliato, società al 100% del Comune di Rosignano Marittimo attiva nell’economia circolare) hanno firmato un protocollo d’intesa per arrivare a una più sostenibile gestione dei rifiuti speciali delle concerie, che prevede tra le altre cose la realizzazione di un impianto di codigestione anaerobica alimentato sia con i fanghi conciari prodotti dal trattamento delle acque reflue che con matrici di scarto della lavorazione conciaria, per ottenere biogas e/o biometano; nel frattempo, la discarica gestita da Scapigliato rappresenta il sito dove poter smaltire in sicurezza (anziché nei campi) gli scarti delle concerie presenti sul territorio.

In questo modo, come dichiarato allora dal presidente della Regione Enrico Rossi, «si chiude il cerchio non tanto rinunciando a produrre ma cercando di immettere dentro la produzione elementi della scienza e della tecnica che consentono di non inquinare e di recuperare materia, insomma l’economia circolare di cui parla l’Europa. Investire nell’ambiente favorisce la qualità di prodotti, attrae investitori e rende la nostra regione assolutamente competitiva nel settore della moda».

Occorre però che gli investimenti, e dunque la presenza di impianti per gestire i rifiuti prodotti, siano commisurati alla domanda effettiva affinché la chiusura del cerchio sia reale. Altrimenti a rimetterci non è qualche impresa, ma tutti i cittadini in termini economici (a seguito dell’inchiesta Demetra il 100% dei fanghi da depurazione civile toscani finì per essere trattato fuori regione, un problema da 20 milioni di euro in tariffa idrica) e in termini di sicurezza e salute: non a caso secondo l’ultima relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia «la perdurante emergenza che in alcune aree del Paese condiziona ed ostacola una corretta ed efficace gestione del ciclo dei rifiuti vede tra le sue cause certamente l’assenza di idonei impianti di smaltimento che dovrebbe consentire l’autosufficienza a livello regionale».