Ma neanche il Fmi crede più all’efficacia del consolidamento fiscale

In Europa torna ad affacciarsi il dogma dell’austerità, anche sugli investimenti verdi

La Commissione Ue ha proposto nuove regole di governance economica per il Patto di stabilità: per l’Italia significano tagliare fino a 15 miliardi di euro l’anno

[27 Aprile 2023]

La Commissione europea ha presentato le proposte per la riforma della governance economica dell’Ue, chiamata ad aggiornare il Patto di stabilità ancora basato su regole risalenti agli anni ’90.

Tali regole sono cristallizzate nei parametri di Maastricht, che impongono il rispetto di un tetto massimo sia per il rapporto tra deficit pubblico e Pil (3%), sia per quello tra debito pubblico e Pil (60%).

Si tratta dei parametri che hanno guidato lustri di austerità in Europa, per poi entrare in stand-by con l’arrivo della pandemia: uno shock enorme, che ha costretto a rivedere l’importanza degli interventi pubblici per guidare e sostenere l’economia. La sospensione del Patto di stabilità resterà in essere fino a quest’anno, il che significa trovare un nuovo assetto in pochi mesi.

Un’esigenza che ha riportato alla luce una storica frattura, quella tra i “falchi” dell’austerità – larga parte dei Paesi del nord Europa, Germania ancora una volta in testa – e il resto degli Stati gravati da alti deficit e debiti pubblici, come l’Italia.

«Le nuove regole agevoleranno riforme e investimenti necessari e contribuiranno a ridurre gli elevati rapporti debito pubblico/Pil in modo realistico, graduale e duraturo», spiega la Commissione. La drammatica esperienza della pandemia, cui si accompagna la crisi climatica in corso, sembra però aver insegnato molto poco.

Per ciascuno Stato membro con deficit o debito pubblico al di fuori dei parametri di Maastricht, la Commissione pubblicherà una “traiettoria tecnica” specifica di rientro. Da questa base, a differenza del vecchio Patto di stabilità, la nuova proposta prevede di negoziare coi singoli stati i piani nazionali per il rientro del debito nei parametri di Maastricht (considerando l’andamento della spesa primaria netta, senza considerare dunque gli interessi sul debito), ma l’orizzonte resta quello dell’austerità.

Innanzitutto, se il rapporto deficit/Pil supera il 3% serviranno tagli annui al bilancio per almeno lo 0,5% del Pil. I piani di rientro del debito, da negoziarsi con la Commissione, avranno invece orizzonte quadriennale o settennale: per l’Italia – in base alle prime stime filtrate da Bruxelles – si tratterebbe di tagli pari a circa 15 mld di euro annui nel primo caso e di circa 8 mld di euro annui nel secondo, da accompagnarsi però ad un programma di riforme istituzionali, ad esempio per supportare la transizione verde e quella digitale.

Entrambe però necessitano di investimenti, oltre che di riforme. Eppure la Commissione specifica che le proposte per il nuovo Patto di stabilità «non introducono un trattamento speciale per nessun particolare tipo di investimento», compresi quelli su verde e digitale. Nessuna golden rule quindi per tenerli fuori dai piani di rientro.

Anzi: come spiega il ministro dell’Economia italiano, anche gli investimenti da finanziarsi coi prestiti europei del Pnrr saranno considerati aggravi sul deficit pubblico e rientreranno quindi nel «calcolo delle spese obiettivo su cui si misura il rispetto dei parametri».

Tutto questo rischia non solo di frenare la transizione ecologica europea – con le relative ricadute occupazionali –, ma anche di aggravare la competizione con Usa e Cina, dove c’è assai meno timore di investire risorse pubbliche per guidare lo sviluppo economico.

Quel che è peggio, il consolidamento fiscale proposto dall’Ue verosimilmente non porterà neanche alla desiderata riduzione dei deficit e debiti pubblici in rapporto al Pil, perché frenerà la crescita del denominatore (il Pil, appunto).

A sostenere un approccio “keynesiano” al tema c’è ormai anche il Fondo monetario internazionale (Fmi), tra i grandi (ex?) cantori dell’austerità, che nel suo World economic out look appena pubblicato afferma  candidamente che «il consolidamento fiscale tende a rallentare la crescita del Pil, i risanamenti hanno in media effetti trascurabili sui rapporti debito/Pil».

Mentre dunque anche il pensiero economico mainstream torna a cambiare rotta sull’austerità, resta solo l’Ue a guida nord-europea a condurre la battaglia resta solo l’Ue a guida nord-europea a condurre la battaglia per il consolidamento fiscale. Col concreto rischio di peggiorare sia i propri bilanci, sia soprattutto il benessere dei cittadini.