Imballaggi, Luca Ruini nuovo presidente del Conai mentre Quagliolo torna a Corepla

Nell’ultimo anno il sistema consortile ha permesso di avviare a riciclo il 70% dei rifiuti di imballaggio, insieme al recupero energetico si arriva quasi all’81%. Ma resta ancora molto da migliorare per chiudere il cerchio dell’economia circolare

[24 Luglio 2020]

Il Conai, ovvero il Consorzio nazionale imballaggi cui aderiscono 800.000 imprese di settore – tra  produttrici e utilizzatrici – ha un nuovo presidente: Luca Ruini, eletto all’unanimità dal Cda. Va così a prendere il testimone da Giorgio Quagliuolo, che torna a guidare il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica (Corepla) dopo i due mandati portati a termine nel 2007-2010 e 2013-2016.

«Il riciclo dei rifiuti di imballaggio in plastica – commenta nel merito Quagliolo – pone l’Italia fra le eccellenze europee e genera un circuito virtuoso per l’economia del Paese e per la tutela dell’ambiente. Continueremo a lavorare in sinergia con cittadini, imprese e istituzioni per diffondere il valore sociale della sostenibilità ambientale e sviluppare nuove tecnologie per il riciclo».

Dal 2008 Ruini è invece direttore Sicurezza, ambiente & energia del Gruppo Barilla: emiliano d’adozione, 55 anni e una laurea in Ingegneria elettronica in tasca, Ruini è già stato membro del Cda Conai dal 2002 al 2008 e dal 2011 al 2017, operando su tutti i tavoli coinvolti nella definizione del sistema italiano di gestione del Packaging waste e guidando il gruppo di lavoro Prevenzione. Insieme a lui sono stati eletti vicepresidenti del Conai Angelo Tortorelli (in rappresentanza della componente degli utilizzatori commerciali e distributori) e Domenico Rinaldini (componente produttori).

Insieme sono chiamati a migliorare la gestione dei rifiuti da imballaggio nel nostro Paese, a partire dagli ultimi dati illustrati proprio da Conai. Nel 2019 il sistema consortile ha permesso di avviare a riciclo il 70% dei rifiuti di propria competenza: si tratta dunque di imballaggi, che pagano il Cac e sono oggetto di raccolta differenziata, e che rappresentano il 25% del totale dei rifiuti urbani ma solo l’8% dei rifiuti nazionali compresi gli speciali. In peso il 70% vuol dire 9 milioni e 560mila tonnellate sui 13 milioni e 655mila immessi al consumo.. Se alle cifre del riciclo si sommano quelle del recupero energetico, le tonnellate di rifiuti di imballaggio recuperate superano gli 11 milioni, quasi l’81% dell’immesso al consumo.

Più nel dettaglio, lo scorso anno l’Italia ha avviato a riciclo 399mila tonnellate di acciaio, 51mila di alluminio, 3 milioni e 989mila di carta, 1 milione e 997mila di legno, 1 milione e 54mila di plastica e 2 milioni e 69mila di vetro.

Dal punto di vista ambientale e della competitività economica, soprattutto per un Paese come il nostro a vocazione manifatturiera ma senza materie prime, si tratta di grandi vantaggi. Che hanno però anche dei costi da pagare nell’immediato. Ad esempio per coprire i maggiori oneri della raccolta differenziata – quindi i costi maggior che genera questo tipo di raccolta – nel corso del 2019 Conai ha trasferito ai Comuni del nostro paese 648 milioni di euro. Il costo complessivo della raccolta differenziata, però ammonta a circa 2 miliardi di euro l’anno. Come noto del resto, anche secondo l’indagine condotta dall’AgCom nel 2016 “il finanziamento da parte dei produttori (attraverso il sistema Conai) dei costi della raccolta differenziata non supera il 20% del totale, laddove invece, dovrebbe essere per intero a loro carico”.

Questo probabilmente sarà uno dei punti da migliorare, gli altri naturalmente vertono sulla gestione dei flussi di rifiuti da imballaggio. Da una parte come dichiarato poche settimane fa da Quagliolo «è importante continuare a lavorare sia sulla strada dello sviluppo di nuove tecnologie per il riciclo sia su quella della prevenzione, incentivando eco design e design for recycling»; dall’altra, è evidente che i materiali faticosamente raccolti e avviati a riciclo dovranno poi essere ri-comprati sul mercato. Per questo la domanda di prodotti riciclati «va incentivata». I metodi posso essere diversi, tramite ad esempio l’Iva più bassa su prodotti da riciclo, crediti d’imposta ad hoc (quelli varati finora però non sono divenuti operativi a causa di mancanza dei decreti attuativi) e soprattutto attraverso un’effettiva applicazione degli acquisti verdi gpp (vessata quaestio di cui greenreport scrive da anni). Basterebbe sceglierli, e applicarli.