Il giro infinito dell’economia circolare: in 13 anni pubblicati solo 5 decreti End of waste su 22

Introdotti dall’Ue nel 2008, ad oggi in Italia 4 sono solo predisposti, 4 in consultazione, 4 in fase istruttoria e 7 non avviati

[22 Febbraio 2021]

L’End of waste è la disciplina giuridica riguardante la cessazione della qualifica di rifiuto al termine di un processo di recupero: un passaggio indispensabile affinché i materiali riciclati possano effettivamente tornare sul mercato. Un perno dell’economia circolare che continua però ad agonizzare anno dopo anno, come mostra la nota sullo “Stato di attuazione dei decreti di cui all’art. 184-ter del D.Lgs 152/06 “cessazione dalla qualifica di rifiuto” inviata pochi giorni fa alle regioni e alle provincie autonome dalla direzione generale per l’Economia circolare del Minambiente.

Riassunta in un dossier elaborato da epr comunicazione (in allegato, ndr), la nota introduce a una situazione di stallo: guardando ai decreti End of waste 5 risultano già pubblicati in Gazzetta ufficiale, 4 predisposti, 4 in consultazione, 4 in fase istruttoria e 7 non avviati.

Più nel dettaglio, dal 2013 al 2018 sono stati pubblicati due decreti End of waste (combustibile solido secondario e conglomerato bituminoso), dal 2019 al 2020 ne sono stati pubblicati altri due (prodotti assorbenti per la persona e gomma riciclata da pneumatici fuori uso) e uno a febbraio 2021 (carta e cartone, pronto da settembre scorso).

Ci sono poi due schemi di decreto per i quali è stato richiesto a Ispra e Iss un parere formale (rifiuti di gesso proveniente dalla demolizione del cartongesso e pulper), insieme ad altrettanti per i quali è stata condotta la consultazione (membrane bituminose per la produzione di additivi destinati alle miscele bituminose e plastiche miste).

Quattro i decreti per i quali è in corso l’iter istruttorio: plastiche miste per la produzione di Sra (secondary reducing agent) da utilizzare nelle cariche di altoforno in sostituzione del carbon coke; terre provenienti da attività di bonifica (bioremediation e soil washing; fanghi da Forsu; rifiuti tessili.

Infine, per sette decreti End of waste l’istruttoria deve essere avviata: oli alimentari esausti; rifiuti in vetroresina; digestato e fanghi di origine agroalimentare; fanghi contenenti bentonite provenienti dalle perforazioni per la produzione di bentonite e fanghi puliti; plastiche miste recupero chimico; ceneri da altoforno e residui da acciaieria; materassi.

Nonostante l’evidente – ma ancora ampiamente insufficiente – accelerazione nella pubblicazione dei decreti compiuta negli ultimi anni, la larga maggioranza del percorso End of waste non è ancora arrivata a conclusione e rappresenta purtroppo un esempio eccellente di quella «normativa ottusa e miope» che blocca l’economia circolare italiana, denunciata bipartisan da ambientalisti e imprese di settore.

Come ricorda l’Ispra nel suo Rapporto di sostenibilità 2020, è l’Ue che ha iniziato a riformare la disciplina sui rifiuti in ottica end of waste nel 2005, e nel 2008 ha stabilito per la prima volta che taluni rifiuti cessano di essere tali se vengono recuperati e soddisfano alcuni criteri specifici, diversi a seconda del tipo di rifiuto: tali criteri dovevano essere stabiliti da regolamenti europei o, in assenza di essi, da norme degli Stati membri, applicabili caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto.

Un contesto sul quale tre anni fa si è abbattuta la sentenza del Consiglio di Stato del 28 febbraio 2018 che, riscontrando una carenza legislativa in materia, aveva bloccato sia i rinnovi sia le nuove autorizzazioni, da parte delle Regioni, per il riciclo di rifiuti non regolato da regolamenti europei o da decreti nazionali.

Per rimediare, Governo e Parlamento hanno dato il via negli anni scorsi a un percorso di fantozziana memoria che ha portato prima al decreto Sblocca cantieri (rivelatasi una toppa peggiore del buco) e in seguito al decreto sulle Crisi aziendali – poi convertito dalla legge n. 128 del 2 novembre 2019 –, che ha comunque messo in piedi una norma che «non pare rispondere in pieno a quella richiesta “di certezza delle regole” avanzata da più parti», come certificato direttamente dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa). Semplificare resta la parola d’ordine, e la palla passa adesso al ministero della Transizione ecologica guidato da Roberto Cingolani.