Il climate strike del 20 settembre fa parte della distruzione del business as usual di cui abbiamo bisogno

Bill McKibben: «Non possono farlo solo i giovani. Dobbiamo farlo tutti»

[5 Settembre 2019]

Quel che stiamo facendo è business as usual.

Viviamo su un pianeta che si è ritrovato piuttosto improvvisamente nel bel mezzo di un’enorme crisi fisica. Dato che  bruciamo così tanto carbone, gas e petrolio, l’atmosfera del nostro mondo sta cambiando rapidamente e quel cambiamento atmosferico sta producendo un caldo record. Luglio è stato il mese più caldo che abbiamo mai registrato. Gli scienziati prevedono con certezza che siamo al limite del sesto grande evento di estinzione degli ultimi miliardi di anni. Le persone muoiono in gran numero e rimangono senza casa; milioni sono già in movimento perché non hanno scelta.

Eppure continuiamo con i nostri soliti schemi. Ci alziamo ogni mattina e facciamo praticamente quello che abbiamo fatto il giorno prima. Non è come l’ultima volta che abbiamo vissuto una crisi esistenziale, quando gli americani si sono arruolati nell’esercito e hanno attraversato l’Atlantico per affrontare il fascismo e quando le persone a casa si messe a fare nuovi lavori e hanno cambiato la loro vita quotidiana.

Ecco perché è una buona notizia che il movimento per il clima abbia una nuova tattica. Avviata lo scorso agosto da Greta Thunberg in Svezia, comporta l’interruzione del business as usual. E’ cominciato, ovviamente, nelle scuole: in pochi mesi milioni di giovani in tutto il mondo hanno fatto sciopero per giorni saltando le lezioni. La loro logica era impeccabile: se le istituzioni del nostro pianeta non si disturbano a prepararsi per un mondo in cui possiamo vivere, perché dobbiamo impiegare anni a prepararci? Se rompi il contratto sociale, perché ne siamo vincolati?

E ora quei giovani hanno chiesto a tutti noi di unirci a loro. Dopo l’ultimo grande sciopero scolastico a maggio, hanno chiesto agli adulti di partecipare la prossima volta. La data è il 20 settembre e il luogo è assolutamente ovunque. I grandi sindacati in Sudafrica e Germania stanno dicendo ai lavoratori di prendersi il giorno libero. Ben e Jerry’s stanno chiudendo il loro quartier generale (fate scorta in anticipo), e se volete  comprare i cosmetici Lush, non avrete fortuna. La più grande manifestazione sarà probabilmente a New York City, dove quella settimana l’Assemblea generale dell’Onu inizierà a discutere dei cambiamenti climatici, ma ci saranno incontri in tutti gli Stati e in tutti i Paesi. Sarà quasi sicuramente il più grande giorno di azione per il clima nella storia del pianeta. (Se vuoi partecipare – e vuoi farne parte – vai su globalclimatestrike.net.)

Ovviamente non è uno “sciopero” nel senso tradizionale, nessuno chiede salari migliori. Ma chiediamo condizioni migliori. Nel senso più letterale, il mondo non funziona come dovrebbe (gli studi affermano che l’aumento del caldo e dell’umidità hanno già ridotto del 10% la capacità di lavoro umana, una cifra che raddoppierà entro la metà del secolo). E quello che stiamo dicendo è che farla finita  con il business as è il modo per arrivarci.

Questo sciopero non sarà l’ultimo di queste azioni. E gli attivisti si stanno riversando nelle battaglie elettorali attualmente in corso e stanno affrontando anche la comunità finanziaria. Stiamo iniziando a metterci insieme: un sondaggio dimostra che per i giovani americani il cambiamento climatico è di gran lunga la questione più importante.

Ma non possono essere solo i giovani. Dobbiamo essere tutti noi, specialmente quelli che hanno operato placidamente nel business-as-usual  per la maggior parte della loro vita, che raramente hanno dovuto affrontare problemi veramente serie nella loro  carriera e nei loro piani. Il nostro compito è precisamente quello di distruggere il business as usual. Quando il pianeta esce dalla comfort zone, dobbiamo fare lo stesso. Ci vediamo per le strade il 20 settembre!

di Bill McKibben

fondatore del movimento climatico 350.org

Schumann Distinguished Scholar in Environmental Studies al Middlebury College

Questo articolo è stato pubblicato il 3 settembre su YES! Magazine e rilanciato da numerosi giornali e siti statunitensi