I sussidi alle fonti fossili sono cresciuti nell’Ue prima del Covid, e potrebbero continuare a farlo

Commissione Ue: «Servono sforzi per garantire che in futuro tali sovvenzioni diminuiscano e per evitare che riguadagnino terreno in un contesto di aumento della domanda di energia»

[28 Ottobre 2021]

Nell’anno della pandemia, per la prima volta le energie rinnovabili (38%) hanno superato i combustibili fossili (37%) diventando la prima fonte di energia elettrica nell’Ue: eppure l’impiego dei fossili resiste, forte di sussidi – o più precisamente “sovvenzioni” – che di fatto avvantaggiano Paesi esteri e sovente autoritari, dato che l’Ue importa il 44% del carbone, il 90% del gas e il 97% del petrolio.

«La situazione – dichiarano dalla Commissione europea presentando lo stato dell’Unione dell’energia per il 2021 – ci obbliga a soffermarci sulla dipendenza dell’UE dalle importazioni di energia, mai così elevata negli ultimi 30 anni, e sull’importanza della transizione verso l’energia pulita per aumentare la sicurezza energetica dell’Ue».

La buona notizia è che nel 2020 le sovvenzioni ai combustibili fossili in Europa sono diminuite, anche se principalmente a causa del calo della domanda di energia nel contesto pandemico. Tuttavia, aggiungono dalla Commissione, il 2020 potrebbe rappresentare un’eccezione: «Servono ulteriori sforzi per garantire che in futuro tali sovvenzioni diminuiscano nell’Ue e per evitare che riguadagnino terreno in un contesto di ripresa economica generale e di aumento della domanda di energia».

Secondo le stime elaborate dalla Commissione, nel 2020 l’importo complessivo dei sussidi energetici europei è stato pari a 177 miliardi di euro. Per oltre il 40% si tratta di un ammontare rivolto alle fonti rinnovabili – in Italia ad esempio il sostegno al comparto arriva allo 0,8% del Pil –, cresciuto dell’8% tra il 2015 e il 2019.

Paradossalmente, nello stesso periodo di tempo però a crescere (+4%) sono state anche le sovvenzioni ai fossili, per un quantitativo poi calato nel 2020 a 52 miliardi di euro. Si tratta di somme che finanziano indirettamente la crisi climatica in corso, in molti modi: agevolazioni fiscali (comprese esenzioni dalle imposte sui consumi e dalle accise, riduzioni, rimborsi, ecc), sostegni al reddito e ai prezzi, oppure – in misura minore – trasferimenti diretti.

Non è facile contabilizzare con precisione l’ammontare delle sovvenzioni, quando si parla di fonti fossili. Secondo le stime piuttosto conservative della Commissione Ue, in Italia arrivano a 5,5 miliardi di euro l’anno (vedi grafico in pagina, ndr), mentre il Fondo monetario internazionale (Fmi) innalza la cifra fino a 41 miliardi di dollari l’anno prendendo come riferimento la differenza tra i prezzi pagati dai consumatori sui combustibili fossili e i  loro “prezzi efficienti” (ovvero i prezzi che dovrebbero includere tutti i costi sociali e ambientali legati agli utilizzi delle risorse fossili, assimilandone le esternalità negative che invece restano ad oggi un fallimento del mercato).

Nel mezzo a questi due estremi si collocano le stime fornite da Legambiente (34,6 mld di euro l’anno) e soprattutto quelle del ministero della Transizione ecologica: 17,7 miliardi di euro secondo l’ultimo Catalogo elaborato dal Governo, peraltro in cronico ritardo nella pubblicazione dei dati aggiornati.

Dentro a queste cifre c’è di tutto. Come osserva il Senato della Repubblica in un’analisi del primo Catalogo ministeriale, il sussidio più oneroso è il differenziale (a parità di contenuto energetico) nelle accise fra benzina e gasolio, che incide per circa 5 miliardi di euro di mancato gettito, seguito dalle esenzioni di accisa per i carburanti impiegati nel trasporto aereo e in quello marittimo, dal rimborso dell’accisa sul gasolio a favore dell’autotrasporto merci e passeggeri e dalle agevolazioni per i carburanti impiegati in agricoltura.

Come intervenire per eliminare queste onerose sovvenzioni alla crisi climatica in corso, senza andare a innescare proteste sociali come quella dei Gilet gialli che ha devastato la Francia pochi anni fa? La partita dell’equità è infatti determinante: il costo della transizione ecologica non può essere pagato dai più poveri, che peraltro hanno assai meno colpe rispetto ai ricchi parlando di cambiamento climatico.

Un progetto concreto d’intervento lo fornisce direttamente il ministero della Transizione ecologica, simulando gli effetti sul Paese di una rimodulazione dei sussidi alle fossili verso più sostenibili lidi. In tutti gli scenari presi in considerazione, l’operazione risulta conveniente: non solo le emissioni di gas serra italiani si ridurrebbero in modo significativo, ma in due scenari su tre anche l’occupazione aumenterebbe rispettivamente del 2,3% e del 4,2%.

Peccato che di tutto questo, nello schema del disegno di legge recante la delega al governo per la riforma fiscale appena approdato in Parlamento, ancora una volta non ci sia traccia.