Riceviamo e pubblichiamo

I rifiuti da costruzione e demolizione “fai da te” e la summa divisio tra urbani e speciali

Nell’ultimo chiarimento arrivato in materia, il ministero dell’Ambiente mette in luce i cambiamenti avvenuti nella classificazione tributaria

[8 Febbraio 2021]

Il ministero dell’Ambiente con nota n. 00100249 del 2 febbraio u.s. (in allegato, ndr) chiarisce, molto opportunamente che: “I rifiuti prodotti in ambito domestico e, in piccole quantità, nelle attività “fai da te”, possono essere quindi gestiti alla stregua dei rifiuti urbani ai sensi dell’articolo 184, comma 1, del d.lgs. 152/2006, e, pertanto, potranno continuare ad essere conferiti presso i centri di raccolta comunali, in continuità con le disposizioni del Decreto Ministeriale 8 aprile 2008 e s.m.i, recante “Disciplina dei centri di raccolta dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato”.

Per giungere a questa affermazione, la nota esplicativa deve necessariamente rifare il punto della classificazione dei rifiuti, a seguito delle modifiche introdotte dal Dlgs n. 116/2020 che ha recepito le due direttive comunitarie sui rifiuti, la n. 851 e la n. 852.

Questa premessa mi sembra molto importante per ricordare che nella normativa sui rifiuti esiste una sorta di “summa divisio”: i rifiuti urbani e quelli speciali. Questa classificazione ha una serie di conseguenze, anche sotto il profilo tributario. Provo a spiegare il perché.

Primo passaggio contenuto nella nota esplicativa: la nuova definizione di rifiuto urbano deve essere applicata nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi e non per stravolgere la gestione dei rifiuti già in essere tra pubblico e privato.

Più precisamente: “Il decreto legislativo del 3 settembre 2020, n.116, di recepimento delle direttiva (UE) 2018/851, nel definire il rifiuto urbano, ha di fatto trasposto nell’ordinamento giuridico nazionale quanto indicato all’articolo 1 della medesima direttiva con la finalità di “rafforzare gli obiettivi della direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio relativi alla preparazione per il riutilizzo e al riciclaggio dei rifiuti, affinché riflettano più incisivamente l’ambizione dell’Unione di passare ad un’economia circolare”, precisando che la suddetta definizione è introdotta “al fine di definire l’ambito di applicazione degli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e riciclaggio nonché le relative norme di calcolo”.   Tale nuova definizione deve essere pertanto applicata nell’ottica generale di raggiungimento degli obiettivi imposti dalla direttiva e non con il fine di stravolgere una gestione dei rifiuti già strutturata ed efficace, tanto da non voler incidere con la ripartizione delle competenze tra pubblico e privato nell’ambito della gestione medesima.”

Affermazione importantissima che sottolinea una “ratio” molto importante con la quale leggere le norme che riguardano quest’ambito (e che è “ripresa” nell’art. 183 b-quinquies). La nota prosegue e ci accompagna nel chiarire, ancora meglio, il “campo da gioco”.

“In particolare, per quanto concerne la definizione riportata all’articolo 183 comma 1, lettera b-sexies) “I rifiuti urbani non includono i rifiuti della produzione, dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca, delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque reflue, ivi compresi i fanghi di depurazione, i veicoli fuori uso o i rifiuti da costruzione e demolizione;” si specifica, che tali rifiuti si riferiscono ad attività economiche finalizzate alla produzione di beni e servizi, quindi ad attività di impresa.”

Ecco la “summa divisio”. I rifiuti urbani, infatti, non comprendono quelli derivanti dalla produzione, dall’agricoltura, dalla selvicoltura, dalla pesca, ecc.

Soppresso il potere di assimilazione da parte dei Comuni (proprio con il Dlgs 116 cit.) ne deriva che i rifiuti della produzione (“speciali”) non possono essere rifiuti urbani né, quindi, assimilabili agli stessi.

In particolare, il numero 2 della lettera b-ter) qualifica quali rifiuti urbani i rifiuti, indifferenziati e da raccolta differenziata, che sono simili per natura ai rifiuti domestici riportati nell’allegato L-quater  prodotti dalle attività contenute nell’allegato L-quinquies. E le attività industriali con capannoni, non sono riportate nell’allegato L-quinquies e, quindi, non sono in nessun caso suscettibili di produrre rifiuti urbani.

Nello stesso allegato L-quater la nota finale prevede che “rimangono escluse le attività agricole e connesse”. Altre attività escluse, insieme alle attività industriali.

In conclusione il confine tra rifiuti urbani e quelli speciali dovrebbe essere chiaro, anche sotto il profilo della relativa pretesa tributaria.

di Massimo Medugno, direttore generale Assocarta