Giochi politici e ambiente nella visita europea di Xi Jinping

Non ci sono solo le arance: la questione ambientale è stata relegata ai margini dell'incontro italiano, mentre occupa un grande spazio nella dichiarazione congiunta Cina-Francia

[5 Aprile 2019]

Nella narrazione giornalistica dei risultati della visita di Xi Jinping in Europa spicca il paragone tra l’acquisto dei circa 300 Airbus dalla Francia e l’esportazione delle arance siciliane in Cina; in realtà l’Italia ha ricevuto commesse dalla Cina per circa 2,5 miliardi di euro in occasione della visita di Xi, ma quelle ottenute dalla Francia ammontano a 40 miliardi. Anche se questa appare come la differenza più evidente, ve ne sono altre, come l’attenzione che la questione ambientale ha ricevuto nei due incontri.

Dopo la Cop21 e l’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico, l’ambiente è entrato con maggior forza nell’agenda politica internazionale ed è interessante vedere il posto che gli è stato destinato in queste due occasioni nella quali la Cina cercava un modo per relazionarsi con l’Europa con accordi bilaterali, giocando sui contrasti politico-economici tra le principali nazioni europee, come Francia e Italia.

L’Italia si è associata, attraverso la firma del Memorandum, alla iniziativa cinese “Belt and Road” (detta anche la “Nuova via della seta”) cioè le nuove infrastrutture terrestri (belt) e marittime (road) tra Europa e Cina. L’ha fatto per ottenere vantaggi economici e affermare una indipendenza sia dalle decisioni europee che atlantiche. Una manovra indebolita non solo dalle pressioni esterne, sia americane che europee, ma anche dalla mancata convergenza delle due forze di governo, 5 Stelle e Lega, la prima favorevole e la seconda, probabilmente per non turbare i rapporti con Trump, dubbiosa dell’accordo con la Cina. Insomma una piccola potenza regionale, l’Italia, che cerca di smarcarsi, con fatica, dai tradizionali alleati, in particolare gli Usa del cui appoggio ha comunque bisogno per mantenere un qualche potere nell’area mediterranea.

La Francia, media potenza regionale, è anche membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu, e, da questo punto di vista, allo stesso livello della Cina. La Francia non ha aderito alla Belt ad Road, ed ha firmato una Dichiarazione congiunta con la Cina, inquadrata negli obiettivi generali dell’Onu: pace, prosperità, sviluppo sostenibile e sicurezza. Parola chiave: multilateralismo. La Francia punta, secondo la tradizione gollista, sulla indipendenza di manovra, e stringe intese con la Cina anche in funzione anti-Trump. Non solo, ma per guadagnare potere si pone come rappresentante dell’Europa, la quale ha la sua politica di rapporti con la Cina.

L’Europa ha stabilito nel suo documento del 12 marzo (“EU-China – A strategic outlook”) le linee di condotta da tenere con la Cina che viene definita un “concorrente economico nel perseguimento della leadership tecnologica, e un rivale sistemico che promuove modelli di governance alternativi”. Il documento si compone di 10 azioni. Nella seconda, figura l’invito alla Cina a “raggiungere il picco delle sue emissioni prima del 2030, in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi”. La Cina viene indicata comunque come “il più grande emettitore di gas serra del mondo e il più grande investitore nelle energie rinnovabili”.

La questione ambientale, al di là della sua obiettiva importanza, diviene un modo per condurre il gioco politico. Trump ha ribadito più volte la volontà di ritirarsi dall’Accordo di Parigi, anche se questa scelta potrà concretizzarsi non prima del 2020. Perciò parlare di ambiente tra Cina e Francia fa comodo ad ambedue: la Cina si differenzia dagli Usa di Trump e la Francia assume l’agenda politica europea anche in materia di ambiente, qualificandosi come il canale privilegiato di accordo tra Cina e Europa.

L’ambiente figura anche nei programmi dei due leader. La questione ambientale e la connessa transizione ecologica è uno dei punti del programma del presidente francese Emmanuel Macron, la cui applicazione con la tassa-carbone ha portato alle proteste dei gilet gialli. D’altra parte Xi, che si propone di rendere la Cina la prima potenza mondiale, è il leader cinese più importante dopo Mao, tanto che il suo programma di governo è inserito nella Costituzione cinese, come lo Xi Jinping-pensiero, e ha come obiettivo interno quello di sviluppare un comunismo dall’impostazione cinese. Il rapporto armonico con la terra figura tra i 14 punti-chiave nei quali viene riassunto il suo programma, insieme a una economia innovativa e verde.

Il risultato di questo crogiolo di motivazioni politiche è che la questione ambientale è relegata nell’incontro italiano alla fine del comunicato congiunto, mentre  occupa un grande spazio nella dichiarazione congiunta Cina-Francia, dove il punto forse più importante è l’accento posto sulla finanza verde e il prezzo dei combustibili fossili. Francia e Cina “riaffermano il loro impegno ad affrontare congiuntamente le sfide del cambiamento climatico, l’erosione della biodiversità e la protezione dell’ambiente”. Ci si impegna ad attuare l’Accordo di Parigi in tutte le sue dimensioni, e a comunicare entro il 2020 la strategia a lungo termine per lo sviluppo a basse emissioni di gas serra. E nel settore del raffreddamento ci si impegna per l’attuazione della modifica Kigali al Protocollo di Montreal sulla riduzione degli HFC. «Non siamo ingenui» ha detto Macron durante la conferenza stampa, e non lo siamo neppure noi. Il nocciolo del problema politico sono gli accordi commerciali, ma è comunque positivo che la questione ambientale si rafforzi nell’agenda globale.