Gestione rifiuti, anche nell’Ato Toscana Costa confermato il deficit impiantistico

«Il problema non è tanto sul come si svolge la raccolta differenziata o sul grado della sua efficienza, quanto sulle tecnologie e sul recupero della materia che riusciamo a recuperare e soprattutto sul loro mercato»

[13 Dicembre 2018]

I cittadini e le imprese toscane producono ogni anno un ammontare di rifiuti stimato in circa 12,2 milioni di tonnellate (tra 2,2 milioni di rifiuti urbani e il resto di speciali), ma sul territorio non ci sono abbastanza impianti per gestirli. All’allarme lanciato da tempo dalle categorie imprenditoriali per quanto riguarda i rifiuti speciali, cui stanno seguendo in queste settimane le audizioni che la Commissione d’inchiesta in merito alle discariche sotto sequestro e al ciclo dei rifiuti – presieduta da Giacomo Giannarelli (M5S) – hanno toccato prima il territorio dell’Ato Toscana Centro, e adesso quello dell’Ato Toscana Costa: tutti i soggetti chiamati in causa hanno lanciato un allarme in fatto di deficit impiantistico per il territorio di propria competenza.

Gli Ato si occupano prettamente di rifiuti urbani, ma è chiaro che su questo terreno le criticità con gli speciali si incrociano. Sia perché gran parte dei rifiuti urbani (l’input degli impianti che li gestiscono) sono composti da speciali “assimilati”, sia perché i rifiuti urbani trattati «producono flussi di rifiuti che vengono catalogati come rifiuti speciali, ma – come ha sottolineato l’ad di Alia, Alessia Scappini – sono sempre rifiuti che hanno bisogno di una autosufficienza e una capacità impiantistica».

Una criticità che, dopo il deficit impiantistico denunciato dal gestore unico dell’Ato Toscana Centro e dell’Ato stesso, è stata ribadita con forza anche dal direttore generale di Ato Toscana Costa Franco Borchi, dal presidente di Reti ambiente Daniele Fortini e dal presidente di Revet Livio Giannotti.

Un deficit che Giannotti, come sottolineano dal Consiglio regionale, ha tradotto anche in termini economici. Prendendo ad esempio lo studio 2015 della Cassa depositi e prestiti che ha stimato in 2 miliardi di euro il costo impiantistico necessario all’Italia per mettere in sicurezza il sistema, in Toscana servirebbero «250milioni», ha spiegato il presidente di Revet, che ha parlato della necessità di impianti più moderni e innovativi, capaci di gestire la frazione organica. Sul come si finanziano questi investimenti, Giannotti ha disegnato scenari diversi tra cui il ricorso alla tariffa «che oggi è ancora una tassa», attraverso fondi specifici o aprendo al privato. In ogni caso occorre pensare ad una «Toscana unita» perché il settore è delicato ed è «necessario che sia presidiato dal pubblico». Efficientare il sistema e ottimizzare le risorse devono però necessariamente passare anche dalla gestione dei rifiuti speciali (il triplo di quelli urbani) che provengono dai distretti produttivi e dei quali «non si parla mai», ha sottolineato Giannotti.

«Il problema non è tanto sul come si svolge la raccolta differenziata o sul grado della sua efficienza, quanto – ha aggiunto il direttore generale di Ato Toscana Costa, Franco Borchi – sulle tecnologie e sul recupero della materia che riusciamo a recuperare e soprattutto sul loro mercato». La prima emergenza rilevata da Borchi è nel garantire un mercato alla frazione umida, che pare avere possibilità di sbocchi se non altro grazie ad una «fioritura imminente di impianti» (un biodigestore anaerobico è in via di realizzazione nel pontederese, mentre un altro impianto dovrebbe vedere la luce a Rosignano Marittimo). La seconda emergenza è invece quella sul recupero della parte secca: «Per questa non ci sono siti», ha detto ricordando la chiusura del termovalorizzatore di Ospedaletto decisa a primavera. L’unico altro impianto a Livorno ha una previsione di chiusura al 2021. «Costa e Centro hanno un futuro garantito solo dalla discarica di Peccioli» ha detto Borchi, che ha avvertito di quanto «basti poco per far saltare il sistema».

Come migliorare? Sollecitato da Giannarelli, il presidente di Reti ambiente Daniele Fortini  ha lanciato la sua idea per un modello di governance migliore: «Una società capogruppo con funzioni industriali totalmente pubblica, servizi di spazzamento e raccolta in capo a società operative a livello locale». Ma oltre i problemi di governance, come sottolineato da tutti gli interventi in Commissione d’inchiesta, resta il problema di fondo: non ci sono abbastanza impianti per gestire i nostri rifiuti.

L. A.