Quella geotermica è una fonte energetica unica per rinnovabilità e stabilità

Geotermia, un po’ di chiarezza (e onestà) sulle emissioni delle centrali toscane

Parisi e Basosi: «Riportare questi valori in maniera totalmente sganciata dal dato relativo alla produzione di energia è un’operazione discutibile, l’effetto che si ottiene (sicuramente ricercato) è quello di generare scalpore»

[28 Gennaio 2020]

La geotermia rappresenta l’energia naturalmente presente nel sottosuolo sotto forma di calore, che in Toscana si è saputo impiegare a fini industriali (per la prima volta al mondo) oltre due secoli fa: da allora sul territorio sono stati inanellati numerosi primati legati allo studio e all’impiego di questa risorsa, ma su questi temi la qualità del dibattito pubblico – fondamentale per promuovere un modello di sviluppo sostenibile e inclusivo – non sempre risulta all’altezza. Le emissioni legate alle centrali geotermoelettriche in particolare sono frequentemente oggetto di rappresentazioni superficiali e slegate dal contesto di riferimento, che da una parte suscitano allarmismo nella popolazione e dall’altra rendono meno chiaro dove (e come) le tecnologie geotermiche potrebbero davvero continuare a migliorare sotto il profilo degli impatti ambientali.

L’ultimo esempio arriva dalla rete NoGesi, che recentemente ha divulgato alcuni dati relativi alle emissioni delle centrali geotermoelettriche toscane – successivamente oggetto di cronaca sui media locali – attingendo allo studio 2019 “Data analysis of atmospheric emission from geothermal power plants in Italy”, per avvalorare l’ipotesi che «la geotermia non sia rinnovabile e compatibile con salute e ambiente». Per capirne di più la redazione di greenreport ha contattato gli autori dello studio – Nicola Ferrara, Riccardo Basosi e Maria Laura Parisi, dell’Università di Siena – e dall’approfondimento che ne è seguito emerge un quadro molto diverso da quello descritto da NoGesi: pur con impatti innegabilmente superiori a zero (l’unica energia pulita al 100% è quella con non viene consumata, come ama sottolineare il prof. Basosi), la geotermia toscana si conferma una fonte energetica con caratteristiche uniche in quanto a rinnovabilità e stabilità di produzione, che contribuisce a rendere il centro Italia la regione con la più bassa impronta di carbonio del Paese, fornendo al contempo elettricità (senza contare l’apporto in termini di calore) a 1.120.000 persone.

A beneficio dei lettori riportiamo di seguito l’approfondimento in via integrale, a firma di Maria Laura Parisi e Riccardo Basosi.

 

I valori riportati dai comitati NoGesi sono sostanzialmente corretti per l’ordine di grandezza, anche se un po’ sovrastimati in alcuni casi. Nella tabella seguente sono riportati i valori ricalcolati dal nostro collaboratore Nicola Ferrara (attualmente all’estero per l’attività del Dottorato) per le emissioni totali delle aree geotermiche toscane nel 2018, da cui è possibile evidenziare le differenze tra i valori riportati da NoGesi rispetto a quelli qui calcolati.

Nonostante l’ordine di grandezza simile dei numeri, riportare questi valori in maniera sganciata dal dato relativo alla produzione globale netta dell’anno di riferimento è un’operazione discutibile. L’effetto che si ottiene (sicuramente ricercato) è quello di generare scalpore utilizzando valori enormi, ma senza alcun tipo di correlazione con la natura degli impatti potenziali (globali, regionali o locali) e/o contestualizzazione rispetto al sistema analizzato.

Una modalità adeguata a discutere questi dati dovrebbe tenere conto del fatto che la geotermia in Toscana è in grado di soddisfare il fabbisogno elettrico del 30% della popolazione della regione, ovvero 1.120.000 persone, 365 giorni all’anno, 24 ore su 24! Ed è l’unica fonte rinnovabile che ha questa fondamentale caratteristica di stabilità e rinnovabilità. A questo riguardo, le informazioni riportate dai comitati NoGesi sulla presunta non rinnovabilità della risorsa non sono fondate su alcuna evidenza scientifica (e men che mai sui risultati dei nostri lavori). La rinnovabilità è una proprietà della risorsa geotermica che è necessario perseguire attraverso un’attenta gestione della stessa, così come è avvenuto ed avviene tutt’ora per i campi geotermici toscani.

Inoltre, grazie al non indifferente contributo della geotermia (ed al momento dell’istantanea riportata nella figura sotto, anche del fotovoltaico in misura minore), il centro Italia è la regione con la più bassa impronta di carbonio del Paese (escluse le isole), con una produzione di 304 g CO2equivalenti per KWh prodotto, come riportato dal portale https://www.electricitymap.org[1]. L’immagine in basso, inoltre, si riferisce ad un orario di picco in cui è necessaria una grossa percentuale di elettricità da gas naturale per poter garantire il soddisfacimento della domanda. In questo modo è possibile apprezzare il contributo che la geotermia può dare nel mix energetico della regione.

Nel nostro lavoro pubblicato sul Journal of Cleaner Production nel giugno 2019 (per cui il processo di revisione è ben più severo rispetto a quello della rivista open access Data in Brief che viene presa come riferimento da comitati NoGesi) questo tema viene approfondito attraverso la formulazione di diversi scenari che consentono di mettere in evidenza quali sono i maggiori responsabili degli impatti.

A questo proposito è anche necessario ribadire il ruolo che ha l’AMIS negli impianti geotermici toscani. Questo sistema viene troppo spesso richiamato in modo inappropriato: l’AMIS è un sistema di abbattimento delle emissioni selettivo ed efficace solo per selezionate sostanze, cioè l’acido solfidrico (per ridurre l’impatto odorigeno) ed il mercurio (metallo naturalmente molto abbondante nell’area di Piancastagnaio che viene abbattuto con notevole efficacia dalle centrali geotermiche).

Per quanto riguarda in particolare la questione dell’H2S, potremmo aggiungere che nelle aree geotermiche Toscane l’odore di acido solfidrico è limitato, come testimoniato dai campionamenti ARPAT secondo i quali il limite odorigeno dei 7 µg/m3 raramente viene superato. Nelle comuni aree termali toscane, invece, l’odore di acido solfidrico è sensibilmente più forte, in alcuni momenti quasi insopportabile, ma non c’è nessun allarmismo, anzi, è opinione comune attribuire alle acque termali potenzialità benefiche per l’organismo umano. In realtà molte delle questioni sollevate a proposito della geotermia sono  infondate, o almeno ingiustificata ne è la risonanza mediatica attribuita.

Come scritto nei nostri lavori (ed in particolare nell’articolo pubblicato sul Journal of Cleaner Production nel giugno 2019) ogni sistema tecnologico è passibile di miglioramento, e questo vale anche per gli impianti geotermoelettrici in Toscana. In questo settore, nel corso dei decenni si sono succeduti notevoli perfezionamenti: dai primi impianti a retro-pressione si è passarti ad impianti a flash che costituiscono oggi lo stato dell’arte per questa tecnologia e che presentano sistemi di abbattimento delle emissioni potenzialmente più pericolose. Iniziano inoltre ad affermarsi nuove tecnologie a ciclo binario che permettono la reiniezione del fluidi incondensabili e che meritano di essere esplorate allo scopo di valorizzare una preziosa risorsa naturale minimizzando l’impatto.

Dal nostro punto di vista continuiamo a condurre ricerche per riuscire a calcolare nella maniera scientificamente più corretta gli impatti ambientali potenziali determinati dalle emissioni atmosferiche geotermoelettriche, con l’obiettivo della minimizzazione dei carichi ambientali e di supporto per l’eco-design di impianti esistenti e di progetti futuri. Tutto questo senza nessun tipo di influenza da parte di soggetti esterni e mantenendo il rigore metodologico tipico delle discipline scientifiche e necessario per ottenere risultati che siano robusti, significativi e verificabili.

di Maria Laura Parisi e Riccardo Basosi, per greenreport.it

[1]Questo portale è sviluppato e mantenuto da Tomorrow, una piccola start-up francodanese. Si tratta di un progetto open-source basato su dati liberamente accessibili pubblicati da operatori di linea, agenzie ufficiali, università ed altri che ha come obiettivo quello di mettere a disposizione i dati delle intensità di carbonio per ogni unità di elettricità consumata (o prodotta) in tempo reale e a partire dai metodi di calcolo internazionalmente accettati (IPCC). Informazioni sul metodo sviluppato sono reperibili dal paper: Tranberg B., Corradi O., LajoieB., Gibon T., Staffell I., Andresen G.B.; Real-time carbon accounting method for the European electricity markets; Energy Strategy Reviews, Volume 26, 2019, 00367, https://doi.org/10.1016/j.esr.2019.100367