Geotermia, le emissioni delle centrali toscane passate al vaglio di un’analisi Lca

Gli Amis sono abbattitori efficaci, ma rimangono fronti su cui migliorare. I risultati di una ricerca realizzata congiuntamente da ricercatori CoSviG, Università di Siena, Cnr-Iccom e Csgi

[5 Luglio 2019]

Si moltiplicano i lavori di ricerca volti a rispondere con solidità scientifica alle preoccupazioni ambientali legate all’impiego della geotermia come fonte rinnovabile per la produzione di energia: oltre al progetto europeo Geoenvi ormai pienamente avviato, è uscito online in questi giorni ed è in fase di pubblicazione sul Journal of Cleaner Production, un innovativo studio frutto del lavoro congiunto dell’Università di Siena, del Cnr-Iccom, di CoSviG e del Csgi, attraverso le firme di Maria Laura Parisi, Nicola Ferrara, Loredana Torsello e Riccardo Basosi.

Lo studio Life Cycle Assessment of atmospheric emission profiles of the Italian geothermal power plants porta avanti un approccio senza precedenti al tema, partendo dal presupposto che gli impatti ambientali legati alla coltivazione della geotermia dipendono fortemente dalla localizzazione degli impianti, e dunque dalle caratteristiche specifiche della risorsa e del contesto geologico presenti sul territorio; mettendo in campo i più recenti progressi conquistati in ambito Lca, la ricerca valuta gli impatti emissivi delle centrali toscane nell’ottica del loro intero ciclo di vita – dalle operazioni di perforazione preliminari allo smantellamento di impianti, pozzi e infrastrutture collegate – partendo dai dati sulle emissioni in atmosfera messi in fila dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (Arpat) dal 2002 fino al 2016, per tutte le centrali geotermoelettriche attualmente operative sul territorio.

Si tratta dunque di uno studio che non deve essere inteso «in alcun modo» come un’indagine eco tossicologica in grado di determinare le possibili ricadute sulla salute delle emissioni, in quanto i risultati dell’analisi Lca non si prestano allo scopo; piuttosto, l’obiettivo degli autori è quello «di valutare l’impatto ambientale potenziale generato dall’attività geotermoelettrica in Toscana, utilizzando tutte le informazioni disponibili, estendendo così l’analisi pubblicata da Bravi e Basosi (2014)», che a sua volta non ha mai inteso indicare possibili ricadute epidemiologiche legate all’uso della geotermia, che sono invece oggetto d’approfondimento dell’indagine InVetta condotta dall’Ars sull’Amiata.

«L’analisi dei dati – si legge nelle conclusioni dello studio – mostra l’efficacia del sistema di abbattimento Amis nel ridurre le emissioni di H2S (acido solfidrico, ndr) e di Hg gassoso (mercurio gassoso, ndr)». L’efficacia degli Amis si è infatti mostrata importante: per Bagnore e Piancastagnaio la riduzione delle emissioni legata agli abbattitori è del 76% e del 69% rispettivamente, mentre per le altre aree – di per sé meno critiche – le percentuali sono del 14% per l’area geotermica di Lago, del 24% per Larderello e del 35% per Radicondoli.

Di fatto, grazie agli abbattitori il potenziale inquinamento ambientale legato alle aree dove il mercurio è naturalmente più presente nel sottosuolo (ovvero Bagnore e Piancastagnaio, dove la presenza delle miniere di cinabro influenza significativamente la composizione chimica dei fluidi geotermici estratti) ha oggi «un profilo comparabile» a quello dei campi “tradizionali” (Larderello, Lago, Radicondoli): «Le grandi differenze geochimiche tra i campi geotermici possono essere considerate praticamente eliminate».

Questo naturalmente non significa che le emissioni siano ridotte a zero, o che non rimangano fronti sui quali migliorare. Oggi che tutte le centrali geotermiche toscane sono dotate di abbattitori Amis, ad esempio, occorre porre particolare attenzione alla gestione del drift (le gocce d’acqua in circolazione nella torre refrigerante che vengono inglobate nel flusso di aria in uscita dalla torre ed emesse in atmosfera); gli impatti sui cambiamenti climatici, e dunque legati alle emissioni di CO2, CH4 e CO2 dalle centrali – che sono maggiori a Bagnore, seguito da Piancastagnaio – per loro natura non vengono inoltre limitati dagli abbattitori ad oggi installati (al proposito è necessario comunque sottolineare che si tratta di gas serra naturalmente contenuti nel sottosuolo e rilasciati, non prodotti, dalle centrali; per questo non vengono contabilizzati dall’IPCC né dall’UE tra i gas serra prodotti dall’uomo); infine, l’analisi Lca mostra che quello dell’ammoniaca «rimane ancora un problema da affrontare» e non solo per il campo geotermico di Bagnore, dove «nonostante la presenza del sistema di abbattimento dedicato alla riduzione dell’NH3, il valore residuo è ancora elevato rispetto agli altri campi».

«Il problema – concludono i ricercatori – potrebbe essere superato in prospettiva utilizzando tecnologie con una totale reiniezione di fluidi, applicabili anche in configurazione ibrida alle centrali geotermoelettriche flash, o in impianti a ciclo binario. Come già menzionato sopra, un altro problema scientifico derivante dai risultati di questo documento che merita maggiore attenzione riguarda il potenziale impatto ambientale causato dal mercurio: l’elevata incertezza relativa sia alle misurazioni che allo stesso metodo Lca non consentono ancora di identificare la reale dimensione dei problemi relativi alle categorie di impatto sulla tossicità. Un passo avanti potrebbe essere l’elaborazione di un metodo Lca ottimizzato, in grado di identificare e calcolare il potenziale impatto ambientale dovuto alle peculiari emissioni atmosferiche delle centrali elettriche flash e, in generale, di una varietà di impianti geotermoelettrici».