La geopolitica dell’idrogeno sarà molto diversa da quella dominata da petrolio e gas

Irena: «Il mercato dell'idrogeno potrebbe dimostrarsi più democratico e inclusivo, offrendo opportunità sia ai Paesi sviluppati sia a quelli in via di sviluppo»

[17 Gennaio 2022]

L’idrogeno non è una fonte energetica, come le rinnovabili o i combustibili fossili, ma un vettore sempre più determinante per immagazzinare, spostare e commercializzare energia. Un vettore che delineerà una nuova geopolitica nel corso dei prossimi decenni, cambiando radicalmente quella ancorata finora agli equilibri dettati da petrolio e gas, come mostra il nuovo report dell’Irena – l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili.

Il rapporto Geopolitica della trasformazione energetica: il fattore idrogeno disegna la rotta al 2050, stimando che entro il 2050 l’idrogeno coprirà fino al 12% del consumo globale di energia, con una quota largamente prevalente di idrogeno verde (ovvero ottenuto tramite elettrolisi impiegando fonti rinnovabili) e una minoritaria di idrogeno blu (gas reforming unito alla cattura e stoccaggio della CO2).

Quanto basta per influenzare in profondità il panorama della politica estera, con accordi bilaterali tra Paesi che si discosteranno significativamente dalle relazioni basate sugli idrocarburi del XX secolo.

«L’idrogeno potrebbe rivelarsi l’anello mancante per un futuro energetico a prova di clima – commenta Francesco La Camera, direttore generale Irena – Ma l’idrogeno non è un nuovo petrolio. E la transizione non consiste nella sostituzione di un carburante, bensì nel passaggio a un sistema nuovo con sconvolgimenti politici, tecnici, ambientali ed economici».

Più nel dettaglio, l’Irena stima che entro il 2050 oltre il 30% dell’idrogeno potrebbe essere oggetto di scambio internazionale, ovvero una quota maggiore a quella del gas naturale oggi. Paesi che non hanno tradizionalmente commercializzato energia, stanno già stabilendo nuove relazioni bilaterali intorno all’idrogeno. Con una differenza importante rispetto allo scenario attuale.

«Con l’emergere di più attori e nuove classi di importatori ed esportatori netti sulla scena mondiale, è improbabile che il commercio dell’idrogeno diventi militarizzato e cartellizzato, contrariamente all’influenza geopolitica del petrolio e del gas», dichiara l’Irena.

Il commercio internazionale dell’idrogeno è destinato a crescere considerevolmente, con oltre 30 Paesi e regioni che pianificano già oggi un commercio attivo.

Alcuni Paesi che prevedono di diventare importatori stanno già mettendo in atto una diplomazia dell’idrogeno dedicata, come il Giappone e la Germania; al contempo gli esportatori di combustibili fossili considerano sempre più l’idrogeno pulito un modo attraente per diversificare le loro economie, per esempio l’Australia, l’Oman, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Tuttavia, l’Irena sottolinea che sono necessarie strategie di transizione economica più ampie, poiché l’idrogeno non compenserà le perdite delle entrate da petrolio e gas.

Di sicuro, con l’idrogeno sembra lontano uno scenario dominato dalla scarsità energetica: «Il potenziale tecnico per la produzione di idrogeno supera significativamente la domanda globale stimata», documenta Irena. Gli anni 2020 sono quelli della grande corsa per la leadership tecnologica, ma il decollo della domanda è previsto solo per la metà degli anni 2030

I Paesi più in grado di generare elettricità rinnovabile a basso costo saranno nella posizione migliore per produrre idrogeno verde competitivo: paesi come il Cile, il Marocco e la Namibia che sono oggi importatori netti di energia, sono destinati ad emergere come esportatori di idrogeno verde, ma molti Paesi avranno bisogno di trasferimenti di tecnologia, infrastrutture e investimenti su larga scala.

Nel corso degli anni ’30, l’idrogeno verde sarà in grado di competere a livello globale con l’idrogeno da combustibili fossili e questo potrebbe accadere anche prima in Paesi come la Cina, il Brasile e l’India (per l’Italia, Irena stima come deadline il 2028).

Nel mentre i Paesi con un ampio potenziale rinnovabile potrebbero diventare luoghi di industrializzazione verde – ad esempio producendo elettrolizzatori e celle a combustibile – e utilizzare il loro potenziale per attrarre industrie ad alta intensità energetica.

Tuttavia, le materie prime necessarie per l’idrogeno e le tecnologie rinnovabili potrebbero attirare l’attenzione sulla sicurezza delle catene di fornitura: sotto questo profilo la definizione delle regole, degli standard e della governance dell’idrogeno potrebbe portare a una competizione geopolitica oppure aprire una nuova era di cooperazione internazionale avanzata. La scelta è in mano ai decisori politici.

«L’idrogeno verde porterà sul mercato partecipanti nuovi e diversi, diversificherà i percorsi e le forniture e sposterà il potere da pochi a molti. Con la cooperazione internazionale, il mercato dell’idrogeno potrebbe dimostrarsi più democratico e inclusivo, offrendo opportunità sia ai Paesi sviluppati sia a quelli in via di sviluppo», conclude La Camera.