Genova, a un anno dal crollo il Governo assicura: nuovo ponte entro aprile 2020

Ma nel frattempo rimangono aperti gli interrogativi su sicurezza delle infrastrutture e gestione delle macerie. Legambiente: «È necessario prevenire»

[14 Agosto 2019]

Le 11.36 di un anno fa segnarono l’inizio di un dramma che per Genova è ancora lontano dal dirsi concluso: il crollo del ponte Morandi, viadotto sospeso sul torrente Polcevera, ha lasciato ferite che non potranno rimarginarsi (43 morti) e altre per le quali l’Italia è ancora affannosamente alla ricerca di una cura. Le macerie ancora da rimuovere, l’accesso alla città da ricostruire, i pesanti interrogativi sulla sicurezza delle infrastrutture – non solo in Liguria – che attendono risposta.

Alla prima cerimonia commemorativa per le vittime del crollo si è presentato oggi un Governo mai così diviso, ma la crisi tra M5S e Lega è rimasta per qualche ora sullo sfondo lasciando al premier Conte l’onere di fare il punto della situazione: «Lo scorso dicembre, 4 mesi dopo il crollo, ha avuto inizio la demolizione del ponte – ha ricordato il presidente del Consiglio – Lavori che si sono conclusi pochi giorni fa: quel che era rimasto del ponte Morandi, quel troncone simbolo della tragedia, non esiste più. Al suo posto sorgerà un ponte più sicuro, nato dal progetto che Renzo Piano ha donato alla città. La ricostruzione è cominciata, a giugno c’è stata la gettata di cemento per il primo pilastro, il cantiere è attivo 7 giorni su 7 e il nuovo ponte dovrà essere percorribile secondo le previsioni nel mese di aprile dell’anno prossimo».

Nel mentre la gestione dell’emergenza è però tornata a mettere in evidenza due problemi antichi dell’Italia: il primo ha a che vedere con la gestione dei rifiuti, e dunque delle migliaia di tonnellate di macerie che rappresentano oggi tutto ciò che è rimasto del ponte Morandi; il secondo la sicurezza di infrastrutture e territorio, in un Paese fragile.

Nel merito di quest’ultimo punto il presidente di Legambiente Stefano Ciafani e il presidente di Legambiente Liguria Santo Grammatico osservano che «è necessario prevenire queste tragedie mediante un monitoraggio e un controllo continuo delle infrastrutture, cominciando da quelle più datate, soprattutto in una regione come la Liguria che registra il più alto indice di densità di strade rispetto alla superficie con un valore pari a 96,5 km/100 kmq. Il governo nazionale e le amministrazioni locali non possono non tenere conto di questa emergenza, già passata nel dimenticatoio». Un’emergenza che si declina anche nella cura del territorio, e non solo delle infrastrutture: un recentissimo studio elaborato dal Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, cui ha partecipato anche il geologo del ministero dell’Ambiente Carlo Terranova, mostra come al crollo del ponte Morandi potrebbe aver contribuito «un terreno morfologicamente fragile dal momento che, tra il marzo 2017 e agosto 2018, aveva già subito delle deformazioni strutturali per motivazioni legate al sottosuolo, in particolare sotto alla pila che poi è crollata, la numero 9. Oggi è possibile sapere che la struttura del viadotto fosse fragile, ma non si può dire con certezza se il disastro si sarebbe potuto evitare», afferma Domenico Angelone, tesoriere del Consiglio nazionale dei geologi italiani. Dello stesso parere anche il presidente Francesco Peduto: «Già in passato abbiamo evidenziato che circa il 90% delle problematiche legate alle infrastrutture italiane sono determinate non da fattori strutturali, ma da criticità idrogeologiche, come ad esempio il crollo del ponte sul Rio Santa Lucia tra Cagliari e Capoterra».

L’altra grande criticità rimasta aperta sta nella gestione delle migliaia di tonnellate di rifiuti legati al crollo e all’opera di demolizione: «Resta ancora da risolvere il problema delle macerie, questione che sollevammo già a poche settimane dall’evento tragico – aggiungono nel merito Ciafani e Grammatico – suggerendo l’attuazione di un piano per la gestione dei materiali affinché non finissero in discarica e per ridurre l’impatto ambientale sui cittadini». Una buona notizia in tal senso è arrivata dall’Ispra a luglio, quando l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale ha dato parere positivo per il recupero di questi rifiuti ritenendo che «siano applicabili il D.l.vo 152/06 alla parte IV e/o il DM 5/2/98 per il recupero dei rifiuti non pericolosi, facendo riferimento alle linee guida Ue». Ma il passaggio dalle buone intenzioni all’atto pratico è sempre molto complicato quando si parla di economia circolare, come dimostra proprio la mancata valorizzazione dei rifiuti da costruzione e demolizione che caratterizza il nostro Paese.

In totale si parla di 57 milioni di tonnellate di rifiuti di questo tipo che l’Italia produce ogni anno, per i quali però manca la normativa End of waste in grado di indicare quando questi rifiuti possono tornare ad essere un prodotto e spesi sul mercato. E dunque (quando va bene) finiscono in discarica.