Lo studio Ref ricerche e l'opportunità del Pnrr

Fanghi di depurazione: l’Italia non sa come gestire 1,9 mln di ton/anno (e presto saranno 3,2)

La frazione di materia solida che rimane alla fine del processo di depurazione rappresenta ad oggi un’occasione sprecata per l’economia circolare

[13 Aprile 2021]

L’Italia è un Paese che paga 165mila euro al giorno in multe per le infrazioni europee legate alla mancata depurazione delle acque reflue urbane, ma al contempo non sa come gestire i fanghi in uscita dai (pochi) depuratori.

L’export pesa già oggi – sull’ambiente e sulle tariffe idriche pagate dai cittadini – 222mila tonnellate l’anno, ma che succederà quando il gap di depurazione sarà sanato? Per allora i fanghi di depurazione da gestire annualmente arriveranno a quota 4,4 milioni di ton/anno, come mostra l’ultimo studio condotto nel merito dal Laboratorio Ref ricerche: senza dotazione impiantistica adeguata, che sarebbe opportuno sostenere da subito tramite il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il risultato sarà il caos.

I fanghi di depurazione sono la rappresentazione plastica di come la gestione sostenibile dei rifiuti – come ogni altro processo industriale, in ossequio ai principi della termodinamica – conduca inevitabilmente alla generazione di nuovi scarti, a loro volta da recuperare o smaltire a seconda dei casi.

Qui non si può “prevenire” o “ridurre”, bisogna anzi aumentare il numero dei depuratori (e quindi dei fanghi conseguenti, ovvero della frazione di materia solida che rimane alla fine del processo di depurazione). Ci sono ancora 29,9 milioni di abitanti equivalenti da soddisfare, ovvero il carico generato nei 939 agglomerati sui quali ancora pendono le procedure di infrazione per mancato collettamento e/o depurazione.

Secondo i dati Ispra l’attività di depurazione delle acque reflue urbane origina più di 3,1 milioni di ton/anno di fanghi – stime Utilitalia arrivano a 3,8 –, per i quali prevale lo smaltimento (56,3% del gestito) sul recupero (40%). Eppure anche in questo caso andrebbe massimizzato il recupero di materia (come il fosforo) o in alternativa di energia, minimizzando lo smaltimento in discarica e affidando un ruolo residuale dello spandimento in agricoltura.

Già oggi 1,9 le mln di ton/anno di fanghi che vengono gestite male o per niente, tra quelli destinati a smaltimento (1,6 mln ton) e le 222mila ton di fanghi che addirittura esportiamo all’estero perché non sappiamo dove mettere. Ma i problemi più grandi sono all’orizzonte: «Quando si saranno costruiti e messi in funzione i depuratori mancanti – spiegano da Ref ricerche – A quel punto saranno circa 4,4 i milioni di tonnellate di fanghi di depurazione prodotti ogni anno»

Sommando dunque le 1,9 mln di ton/anno oggi mal gestite e i nuovi fanghi che produrranno i depuratori oggi mancanti lungo lo Stivale, a «livello nazionale il fabbisogno residuo di recupero si quantifica in 3,2 milioni di tonnellate/anno, declinati a livello regionale secondo esigenze diverse fra loro».

Che fare? «Qualche soggetto già si è messo in moto – chiosano con un po’ di ottimismo dal Ref ricerche – Per esempio, Cap Holding ha inaugurato un progetto di simbiosi industriale tra il termovalorizzatore e il depuratore (già dotato di due biodigestori) presenti nel comune di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano. L’iniziativa prevede la valorizzazione termica dei fanghi prodotti da tutti i depuratori (circa 40) gestiti del gruppo Cap, generando calore per il teleriscaldamento (75%) e fosforo come fertilizzante (25%)».