Fanghi di depurazione, la Toscana rischia un deficit di gestione da 337mila ton/anno

Già oggi è la terza regione d’Italia per smaltimenti in discarica, e soprattutto ci sono 72mila ton/anno che finiscono fuori confine

[13 Aprile 2021]

La Toscana è da molti anni in sofferenza per la gestione dei fanghi di depurazione delle acque reflue, ovvero quella frazione di materia solida – un rifiuto speciale – che rimane alla fine del processo di depurazione, ma l’ultimo studio pubblicato dal Laboratorio Ref ricerche mostra che presto la situazione potrebbe peggiorare ancora senza la realizzazione di un’impiantistica adeguata sul territorio.

Già oggi la Toscana produce 291mila ton/anno di fanghi di depurazione, per oltre due terzi (216mila ton) smaltite in discarica anziché essere recuperate sotto forma di materia o energia; peggio fanno solo Lazio (280mila ton/anno smaltite in discarica) e l’Emilia-Romagna (219mila ton).

Soprattutto, la quasi totalità (72mila ton/anno) del terzo mancante semplicemente finisce fuori dai confini regionali, perché all’interno non ci sono abbastanza impianti adeguati per gestirli secondo logica di sostenibilità e prossimità. Un export che pesa già oggi – sull’ambiente e sulle tariffe idriche pagate dai cittadini – e che è destinato a crescere senza interventi correttivi, perché a crescere dovrà essere anche la presenza di depuratori sul territorio. E a sua volta la gestione dei rifiuti – in questo caso acque reflue urbane – genera scarti da trattare, come ogni processo industriale.

Ad oggi l’Italia paga 165mila euro al giorno in multe per le infrazioni europee legate alla mancata depurazione delle acque reflue urbane, e parte di questo gap di depurazione è anche toscano. Una volta risolto ci saranno altre 48.713 ton/anno di fanghi toscani da gestire, e se la Toscana vorrà intraprendere davvero un percorso di economia circolare – dunque limitando al massimo lo smaltimento in discarica, e soprattutto azzerando l’export – il fabbisogno residuo di recupero per i fanghi arriverà a 337mila ton/anno. Il dato peggiore d’Italia dopo Lazio (475mila ton/anno), Campania (355mila) e Puglia (340mila).

Uno scenario che sarà possibile evitare solo pianificando e approvando per tempo la realizzazione di un’impiantistica dedicata sul territorio, come sta facendo il gruppo Cap in Lombardia. Una regione  dove peraltro «la capacità impiantistica per il recupero già presente risulta pressoché capiente e coerente con la produzione a regime, in grado – osservano dal Ref ricerche – di accogliere l’incremento atteso di 239mila tonnellate/anno derivante dal completamento delle fognature e dei depuratori mancanti».