Export di rifiuti, l’Ue ha trovato in Malesia e Turchia la nuova Cina

Se nel gigante asiatico esportavamo 1,4 milioni di tonnellate di plastiche nel 2016, nel 2019 sono crollate a 14mila tonnellate. Andando altrove

[14 Luglio 2020]

Da quando la Cina ha tagliato drasticamente la possibilità di importare nel Paese rifiuti e in particolare plastiche (quasi sempre difficilmente) riciclabili, non è più… domenica. Viene da parafrasare la nota canzone di qualche anno fa di fronte ai dati che l’Eurostat ha pubblicato sull’esportazione di rifiuti e in particolare di “materiali riciclabili”.

Che vede dal 2017 – anno in cui la Cina ha presentato una notifica all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) per vietare il commercio di quattro classi e 24 tipi di rifiuti solidi, compresi tutti i rottami di plastica, la carta straccia non differenziata, alcuni residui di riciclaggio dei metalli, i tessili e tutti rifiuti o rottami non differenziati – uno “sparpagliamento” di questi flussi in giro per il mondo. Che non è una buona notizia ambientalmente e economicamente parlando. Come abbiamo visto che in Italia, dove a causa (anche) di materiale differenziato di bassa qualità, la chiusura voluta da Pechino ha fatto sì che i nostri impianti si saturassero in pochissimo tempo.

Questo divieto ha portato così a uno spostamento nelle destinazioni dei rifiuti di carta e plastica per il riciclaggio verso altri paesi asiatici e la Turchia. Ma vediamo nel dettaglio cosa è successo in termini di “peso” di materiali riciclabili: nel 2016 l’Ue ha esportato circa 1,4 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica in Cina. Nel 2017, la Cina era ancora il principale partner commerciale per i rifiuti di plastica. Tuttavia, nel 2018, le esportazioni di rifiuti di plastica in Cina sono scese a 50 mila tonnellate e nel 2019 a 14 000 tonnellate. Questa riduzione ha portato a uno spostamento dei flussi verso la Malesia (24% del totale delle esportazioni Ue di rifiuti di plastica nel 2019), la Turchia (17%) e l’Indonesia (6%).

Le esportazioni totali sono diminuite da 2,6 milioni di tonnellate a 1,5 milioni di tonnellate tra il 2016 e il 2019. Ma Eurostat non dice quanti materiali sono rimasti fermi stoccati negli impianti europei, in qualche magazzino o su qualche piazzale, o quanti per mancanza di valvole di sfogo alternative – ovvero impianti di prossimità in grado di gestirli in modo sostenibile – hanno preso la via dell’illegalità.

Per i rifiuti di carta, la riduzione è stata più regolare. Nel 2016 l’UE ha esportato oltre 5 milioni di tonnellate di rifiuti di carta in Cina. Queste esportazioni si sono dimezzate tra il 2016 e il 2018. Nel 2019 sono state ridotte a meno di 700 mila tonnellate. Questo calo ha portato a uno spostamento dei flussi principalmente verso l’India (19% delle esportazioni totali nel 2019), Indonesia (17%), Turchia (12%), Vietnam (11%) e Thailandia (10%). La Cina aveva ancora una quota del 12%. Le esportazioni totali sono diminuite da 7,4 milioni di tonnellate a 5,8 milioni di tonnellate tra il 2016 e il 2019.

Qual è il problema? Sempre il solito. Si esporta perché non abbiamo gli impianti in numero sufficiente per affrontare – non solo in Italia è evidente da questi numeri – tutti i rifiuti potenzialmente riciclabili (figuriamoci gli altri). Plastica compresa, che invece per qualcuno sembra un materiale che una volta raccolto è praticamente “sparito” dal conteggio dei rifiuti stessi.

Eurostat spiega inoltre che secondo i dati relativi a gennaio 2020, continua la tendenza alla riduzione dei rifiuti riciclabili esportati, con i livelli più bassi di carta e plastica verso la Cina mai registrati a gennaio. Questi risultati potrebbero anche essere influenzati dalla situazione relativa a Covid-19 che, come argomentato più volte su queste pagine, da questo punto di vista non sta dando alcun aiuto al nostro Paese nell’ottica di una corretta gestione integrata dei rifiuti. Anzi, semmai contribuisce ad acuire problemi cronici che ci rifiutiamo di affrontare.