Elettricità futura, con le rinnovabili l’Italia risparmierebbe in bolletta 50 mld di euro l’anno

L’associazione confindustriale chiede di accelerare sulle nuove installazioni, oltre al ritiro dell’art. 16 nel decreto Sostegni-ter individuando «evidenti profili di illegittimità costituzionale»

[11 Febbraio 2022]

Il presidente della principale associazione confindustriale che opera nel settore elettrico italiano – Elettricità futura – è stato audito oggi nella commissione Bilancio del Senato sul decreto legge Sostegni-ter (DL 04/2022), già bocciato in modo pressoché unanime da ambientalisti, consumatori e produttori di energia perché prova a ridurre l’impatto del caro bollette colpendo paradossalmente le rinnovabili, ovvero il principale strumento da poter mettere in campo per superare la crisi energetica.

Come precisa infatti il presidente di Elettricità futura, Agostino Re Rebaudengo, l’Italia «è in piena emergenza energetica perché il prezzo del gas è quadruplicato e perché oltre il 60% dell’elettricità in Italia viene prodotta con il gas», una fonte energetica fossile che importiamo per il 95% circa e che soddisfa il 40% della nostra domanda energetica totale.

Sono invece le rinnovabili, che coprono il 38% della nostra domanda elettrica e il 20% di quella totale, a rappresentare le nuove installazioni più economiche per produrre energia, a livello globale. E in Italia?

«Le rinnovabili sono le energie che costano meno – spiega Re Rebaudengo – Già quest’anno i produttori rinnovabili hanno stipulato con il Gse (società interamente partecipata dal ministero dell’Economia e delle finanze) contratti a prezzo fisso per 20 anni a 65 €/MWh, quasi un quarto rispetto al prezzo all’ingrosso dell’energia elettrica di gennaio 2022 pari a 225 €/MWh».

I possibili risparmi rispetto al contesto attuale dominato dal gas fossile appaiono evidenti. Con l’attuale mix di generazione «la bolletta elettrica in Italia si stima sarà di circa 95 miliardi di euro nel 2022, oltre il doppio rispetto al 2019 (anno pre-Covid) in cui è stata pari a 44 mld euro. Se avessimo già raggiunto quest’anno il target 2030, cioè il 72% di rinnovabili sul mix di generazione elettrica, la bolletta 2022, nonostante l’incredibile aumento del gas, sarebbe sostanzialmente pari a quella del 2019, ovvero 44 mld di euro rispetto a 95 mld di euro che dovremo pagare. E l’Italia risparmierebbe oltre 50 miliardi di euro nel 2022», una quota che continua a crescere (fino a poco tempo fa la stima fornita da Elettricità futura si fermava a circa 30 mld di euro) mentre i prezzi del gas fossile proseguono la loro salita.

Allo stato dell’arte, si tratta però di un quadro del tutto ipotetico. Di fatto il nostro Paese risulta il peggiore d’Europa nell’autorizzare nuovi impianti rinnovabili, mentre il Governo pensa a raddoppiare le estrazioni di gas naturale, da circa 4 a 8 mld di mc l’anno (mentre l’Italia avrebbe un potenziale produttivo nel biometano più alto, stimato al 2030 in 10 miliardi di metri cubi, di cui almeno 8 da matrici agricole).

Una soluzione che da Greenpeace bocciano come «assurda dal punto di vista ambientale, energetico ed economico, che non è neppure in grado di mettere una toppa nel breve periodo», per almeno tre motivi: per raddoppiare la produzione servirebbero almeno 18-24 mesi, quando l’attuale crisi energetica con tutta probabilità sarà esaurita da tempo; anche se arrivasse in tempo, il gas estratto in Italia sarebbe comunque venduto a prezzi di mercato dato che «allo stato attuale non può essere venduto solo in Italia a prezzi calmierati perché, come qualcuno ha già fatto notare, si tratterebbe di un aiuto di Stato». Al contempo, se anche «si costringessero gli operatori che estraggono gas nei fondali italiani a venderlo solo sul mercato interno a un prezzo indicato dallo Stato, quest’ultimo sarebbe poi costretto a ripagare ai petrolieri le mancate entrate, in un circolo vizioso».

Eppure mentre si delineano tali scenari il Governo, con l’art. 16 del decreto Sostegni-ter, impone «un tetto massimo al prezzo dell’elettricità rinnovabile» (senza incidere sugli extraprofitti legati alle fonti fossili). Come notano da Elettricità futura, altri Paesi europei (Spagna e Romania) che avevano introdotto misure contro le rinnovabili simili a quelle contenute nell’art. 16 «le hanno dovute ritirare, o drasticamente ridimensionare».

Nella sua audizione in Senato, su questa falsariga Re Rebaudengo ha snocciolato 10 motivi per suggerire un ritiro dell’art. 16, aggiungendo anche 5 «evidenti profili di illegittimità costituzionale». Secondo l’associazione confindustriale, infatti, l’art. 16 presenta «profili di incostituzionalità ancora più forti di quelli della c.d. Robin Hood Tax, che fu dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale perché introduceva discriminazioni arbitrarie applicando, senza adeguate motivazioni, un regime impositivo più gravoso per una sola categoria di operatori».

Che fare dunque per affrontare concretamente, da subito ma con misure valide anche in prospettiva, per risolvere l’attuale grave crisi del caro bolletta? Elettricità futura indica tre punti al Governo: «Attui un’ulteriore opera di semplificazione straordinaria per poter finalmente realizzare 15 GW all’anno anziché 1 GW di nuova potenza rinnovabile; faccia “moral suasion” su Regioni ed enti locali affinché rilascino tempestivamente le autorizzazioni per installare gli impianti rinnovabili attualmente in sviluppo; acceleri il più possibile, e comunque entro e non oltre la fine del 2022 come prevede la Red II, il processo di identificazione delle aree idonee per l’installazione delle rinnovabili».

L. A.