Discarica de La Grillaia, ancora niente amianto ma i controlli Arpat proseguono

«L’utilizzo di rifiuti contenenti amianto ha il vantaggio di non produrre biogas, di dar luogo ad un percolato particolarmente povero di sostanze inquinanti e di non essere soggetta a rilevanti cedimenti differenziali, consentendo di realizzare la copertura definitiva»

[15 Giugno 2021]

Nella discarica de La Grillaia di Chianni (PI) dal 1990 al 1998 sono state conferite 1,9 mln di ton di rifiuti – per il 73% rifiuti solidi urbani, 6% assimilati, 9% rifiuti speciali non pericolosi e 6% fanghi, come quelli depurazione dell’industria conciaria –, prima che con una delibera della Provincia di Pisa arrivasse lo stop anticipato agli smaltimenti, a seguito delle proteste di comitati e cittadini per le maleodoranze causate dall’impianto, che però in questo modo non è mai stato messo in sicurezza.

Un’operazione di cui adesso dovrebbe farsi carico il gruppo Vergero grazie a un investimento da circa 18 mln di euro e il conferimento di 270.000 metri cubi di amianto per poi arrivare entro 8 anni alla chiusura definitiva. Un progetto che sta risollevando un vespaio di polemiche tra cittadini, istituzioni locali e associazioni ambientaliste, nonostante il parere positivo arrivato dagli enti tecnici preposti come Arpat.

In attesa che ripartano i conferimenti – previsti per l’autunno –, proprio l’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana sta continuando a monitorare l’impianto per saggiarne gli impatti ambientali, dando oggi notizia dell’esito dei sopralluoghi.

Controlli dai quali è emerso ad esempio che (ormai dall’agosto scorso) l’impianto ha implementato un Sistema di gestione ambientale conforme alla normativa ISO14001, e che il controllo documentale relativo alla gestione dei rifiuti (registro carico/scarico, Fir, ecc.) non ha evidenziato alcuna criticità (sostanzialmente il gestore, ovvero la Nuova servizi ambiente srl, spedisce all’esterno come rifiuto solo il proprio percolato).

Arpat ha rilevato però anche delle criticità: controllando (tramite 8 piezometri) le acque sotterranee relativamente alla falda freatica le analisi hanno evidenziato (per 2 piezometri) la presenza di cloruro di vinile e benzene «di cui si ritiene scontata la natura antropica dovuta all’attività passata»; anche dall’analisi del percolato è «scaturita la presenza di una elevata carica contaminante, frutto di un’attività degradativa ancora particolarmente sviluppata». L’Agenzia ha dunque chiesto al gestore i relativi approfondimenti d’indagine.

Ma quali ricadute sono attese, in un contesto simile, con l’avvio dei conferimenti d’amianto? Tramite una gestione adeguata – quella indicata dall’Autorizzazione integrata ambientale rilasciata dalla Regione – non si prospettano allarmi ambientali. Semmai il contrario.

Il progetto approvato dalla Regione riguarda infatti essenzialmente «un intervento di messa in sicurezza definitiva e ripristino ambientale (Mis), realizzando una copertura (capping) definitiva, al fine di garantire il completo isolamento rispetto all’ambiente esterno».

Sostanzialmente, l’amianto verrà impiegato per colmare il cavo attualmente presente nell’impianto, che si è venuto a creare con l’interruzione anticipata dei conferimenti dei rifiuti e alla conseguente prematura chiusura della discarica nel 1998. A garanzia di queste operazioni, come ricordano da Arpat i rifiuti contenenti amianto (CER 170605) potranno essere accettato, solo se confezionato, in modo tale da impedire la dispersione in aria della fibra libera; il carico dovrà essere ispezionato onde valutare l’integrità di ogni confezione, l’assenza di eventuale materiale disperso sul pianale interno del camion, l’adeguatezza degli imballaggi, la corretta disposizione del carico e la presenza di un pallet a perdere integro, sotto ogni big bag. Qualora vengano rilevate eventuali non conformità il carico non dovrà essere accettato e verrà rispedito al produttore.

«Oggettivamente l’utilizzo di rifiuti contenenti amianto come tipologia di rifiuti prevista per l’intervento di recupero volumetrico, ha il vantaggio – argomentano da Arpat – di non produrre biogas, di dar luogo ad un percolato particolarmente povero di sostanze inquinanti e di non essere soggetta a rilevanti cedimenti differenziali, consentendo di realizzare la copertura definitiva della discarica».

Senza dimenticare che le discariche per conferire in sicurezza rifiuti contenenti amianto sono uno strumento essenziale – come riconosciuto da sempre dall’Arpat come dal ministero dell’Ambiente, ma anche da Legambiente nazionale – per portare a buon fine le bonifiche dell’amianto che in Toscana attendono da decenni: sul territorio ci sono infatti almeno 2 milioni di tonnellate di amianto ancora da bonificare, che da sempre non sappiamo dove smaltire.

Già il Piano regionale rifiuti redatto nel 1999 metteva in guardia contro «una strutturale carenza di impianti per lo smaltimento», e le cose non stanno migliorando. Come documenta il rapporto Ispra sui rifiuti speciali pubblicato pochi giorni fa, a fronte di 108.000 siti interessati dalla presenza di amianto stimati dall’Inail a livello nazionale, le discariche operative in grado di gestire i rifiuti contenenti amianto sono solo 19 in tutto il Paese.

Dal 2018 al 2019 la Toscana ne ha persa un’altra, quella di Cava Fornace, tanto che l’Ispra documenta la presenza di un ultimo impianto rimanente, quello di Cascina. Peccato che anch’esso nel febbraio di quest’anno abbia finito le volumetrie disponibili, lasciando la Toscana sguarnitissima e ancor più dipendente dall’export di rifiuti.