Difendere il clima per rilanciare l’economia: lo chiedono le imprese italiane

L’appello di cento aziende e associazioni d’impresa per chiedere una ripresa post-Covid che sia davvero compatibile col la lotta alla crisi climatica in corso

[27 Ottobre 2020]

Difendere il clima e anche l’economia non è più un binomio impossibile, semmai obbligato: tanto che a farse portavoce sono cento esponenti di importanti imprese e associazioni di impresa italiane, che hanno appena lanciato un appello per rendere gli investimenti europei per la ripresa post-Covid più ambiziosi e adeguati alla sfida di una transizione ecologica e climatica che poggi su tre pilastri: ambizione climatica per aumentare la quota di finanziamenti dedicati al clima del Recovery fund, criteri climatici stringenti per indirizzare gli investimenti, una lista di esclusione delle attività anti-clima da non finanziare.

L’ appello (integralmente disponibile in allegato, ndr) è rivolto ai parlamentari italiani, ai rappresentanti italiani all’Europarlamento e ai membri del Governo italiano,  in vista della negoziazione relativa alla versione finale del pacchetto di ripresa europeo post Covid prevista per il mese di novembre. I tre pilastri sostenuti dalle imprese italiane nel loro appello traggono infatti ispirazione dagli emendamenti al Recovery and resilience facility approvati due settimane fa dalla commissione Ambiente del Parlamento europeo, ma non è detto che questi emendamenti trovino la forza per arrivare al traguardo: da qui la spinta del mondo imprenditoriale.

Questi i tre capisaldi:

  1. Ambizione climatica: per portare dal 37% al 50% la quota di investimenti del Recovery and Resilience Facility – il più importante strumento di finanziamento del pacchetto Next Generation EU – destinati a progetti favorevoli al clima, sia per realizzare il taglio delle emissioni del 55% entro il 2030 e puntare sulla neutralità climatica al 2050 che per contribuire a mobilitare i 350 miliardi di euro all’anno di investimenti per il clima e l’energia a livello europeo, stimati dalla Commissione Europea;
  2. Criteri climatici per gli investimenti: adottare una metodologia chiara per riconoscere gli investimenti favorevoli al clima, come quella definita dal Regolamento europeo per la “Tassonomia per la finanza sostenibile”;
  3. Una “lista di esclusione”: introdurre una lista di attività economiche che non possono accedere ai finanziamenti del Recovery and Resilience Fund perché incompatibili con il taglio delle emissioni al 2030 e con l’obiettivo della neutralità carbonica entro il 2050.

«Puntiamo – spiega Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile – ad avere un buon piano per la ripresa quindi ad evitare che, da una parte, si spenda per tutelare il clima e l’ambiente e, dall’altra, si finanzino,con le risorse europee, anche misure che danneggino il clima e l’ambiente. Gli investimenti nelle  misure per il clima vanno aumentati  perché hanno anche un grande potenziale di trascinamento economico e occupazionale in vari settori: della produzione di energia rinnovabile, del risparmio energetico negli edifici e nell’industria con l’economia circolare, nel cambiamento per una mobilità più sostenibile. Senza trascurare di finanziare anche misure di adattamento climatico che riducano la vulnerabilità delle città alle alluvioni e alle ondate di calore».

La strada del resto è obbligata. La crisi pandemica che stiamo vivendo si stima porterà per l’Italia a una perdita del Pil pari a circa il 10% quest’anno, per poi lasciare intravedere una sensibile ripresa il prossimo anno. Un trend che sta comunque mettendo sotto straordinaria pressione il tessuto socioeconomico del Paese. Il punto è che il conto da pagare per la crisi climatica in corso, se non prendiamo adeguate contromisure, sarà ancora più ampio: nella seconda metà del secolo il riscaldamento globale potrebbe costare all’Italia ogni anno l’8% del Pil, e il modo per evitarlo è agire ora riducendo le emissioni di gas serra.