Dall’Italia più spese militari che per la difesa del nostro capitale naturale

I sussidi che lo Stato dedica a voci di spesa dannose per la biodiversità sono invece pari a 36 miliardi di euro l’anno

[17 Febbraio 2023]

Dopo un lungo dibattito alimentato dalla società civile, un anno fa il Parlamento ha scelto di modificare la Costituzione italiana introducendo, all’interno degli articoli 9 e 41, la tutela dell’ambiente della biodiversità e degli ecosistemi tra i principi fondamentali del Paese. Principi che fanno però molta fatica a tradursi in pratica, come documenta il nuovo Rapporto sullo stato del capitale naturale in Italia, redatto dal Comitato per il capitale naturale e approvato dal ministero dell’Ambiente.

Più nel dettaglio, con la revisione dell’articolo 9, è stata introdotta tra i principi fondamentali della Repubblica “la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”. Nell’articolo 41 si prevede inoltre che l’iniziativa economica non possa svolgersi “in modo da recare danno alla salute e all’ambiente” e che possa essere indirizzata e coordinata anche “a fini ambientali”, oltre ai già previsti fini sociali.

In quest’ottica la necessità di preservare e ripristinare il capitale naturale non è solo riconosciuta dall’Agenda Onu per lo sviluppo sostenibile al 2030 e dal Green deal europeo, ma anche dalla legge fondamentale dello Stato italiano.

Il capitale naturale è infatti la base indispensabile per tutti i servizi ecosistemici essenziali allo sviluppo e al benessere umano, oltre che al contrasto e alla mitigazione dei cambiamenti climatici. Terreni fertili, mari puliti, acque potabili, aria pura, impollinazione, prevenzione delle alluvioni, regolazione del clima: sono tutti esempi di beni e servizi essenziali in cui si declina il capitale naturale a nostra disposizione, offerto gratuitamente dagli ecosistemi che in cambio continuiamo a minacciare, a partire dalla progressiva perdita di biodiversità.

Il ripristino degli ecosistemi degradati è spesso costoso e, in alcuni casi, i cambiamenti possono diventare irreversibili. Eppure investiamo più risorse per danneggiare il nostro capitale naturale di quante ne impieghiamo per proteggerlo.

Il primo esempio fornito dal rapporto arriva dall’Ecorendiconto dello Stato –, monitorando la spesa pubblica primaria effettuata dall’amministrazione centrale nel periodo 2010-2020.

Tra 2010 e 2013, sebbene la spesa pubblica crescesse di circa l’1% annuo, la spesa per l’ambiente veniva tagliata del 30% medio annuo. Nel 2020, anno d’arrivo della pandemia in cui la spesa pubblica ha un incremento del 9%, anche la spesa per l’ambiente aumenta di quasi il 60%, superando seppure di poco il valore del 2010.

Così, adesso la spesa dello Stato per l’ambiente si attesta a circa 9 miliardi di euro, ovvero lo 0,77% della spesa pubblica primaria complessiva. Tanto, poco? Basti osservare che per ogni euro desinato a salvaguardare il nostro capitale naturale, se ne spendono 3,6 in difesa (ovvero spese per le forze armate e civili, gli aiuti militari all’estero, etc).

Il quadro resta assai deficitario ampliando il quadro d’osservazione, ovvero passando dall’Ecorendiconto alla spesa per la protezione dell’ambiente monitorata dall’Istat nei conti ambientali – che include famiglie, imprese e Amministrazioni pubbliche. Vista da qui nel 2018, ovvero l’ultimo anno disponibile per il totale aggregato, la spesa nazionale per l’ambiente ha superato i 32 miliardi di euro, pari all’1,84% del Pil (in aumento del 4% rispetto al 2016).

Infine, dall’analisi dei Conti pubblici territoriali, che monitorano la spesa effettuata dalle amministrazioni regionali, il rapporto osserva che la spesa ambientale è diminuita nella maggior parte delle Regioni nel corso dei venti anni considerati (2000-2019), ad eccezione di Campania, Puglia e Trentino Alto Adige.

Finora è stata presa in esame la pur magra spesa che dedichiamo alla tutela dell’ambiente, ma il rapporto va oltre per indagare anche quelli che sono i Biodiversity harmful subsidies, ovvero i sussidi che lo Stato dedica a voci di spesa dannose per la biodiversità.

In questo caso il riferimento esplicito è al più recente Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e dei sussidi ambientalmente favorevoli, con cui il ministero dell’Ambiente ha aggiornato le stime al 2020. In quest’ambito per “sussidi” s’intendono tra gli altri, gli incentivi, le agevolazioni, i finanziamenti agevolati o le esenzioni da tributi direttamente finalizzati alla tutela dell’ambiente; si parla dunque di sussidi diretti (voci di spesa) e indiretti (spese fiscali), compresi gli impliciti (ad esempio, si riferiscono all’underpricing per l’estrazione di risorse naturali).

Complessivamente il Catalogo censisce 180 sussidi, con quelli dannosi per l’ambiente (Sad) a fare la parte del leone: si parla di 21,6 miliardi di euro, mentre i sussidi ambientalmente favorevoli (Saf) si fermano a 18,9 mld di euro, e quelli di incerta classificazione a 13,6 mld. I sussidi dannosi per la biodiversità, invece, sono quantificati in 36 miliardi di euro.

Che fare per cambiare rotta? Il rapporto richiama la necessità di agire in ottemperanza al principio europeo del “non arrecare danno significativo (Dnsh – Do no significant harm) e di massimizzare l’adozione di soluzioni basate sulla natura (Nbs – Nature-based solutions), offrendo elementi da considerare nell’attuazione del Piano per la transizione ecologica, della Strategia nazionale per la biodiversità 2030, del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e nell’azione multilivello prevista dalla Strategia nazionale per sviluppo sostenibile.

In concreto, questo significa anche rivedere il sistema di sussidi in essere. Come evidenzia infatti il rapporto, la «presenza nel sistema economico e fiscale di sussidi ambientalmente dannosi danneggia non solo ambiente, biodiversità e capitale naturale, ma anche l’economia trascurando le esternalità, distorcendo il mercato e dando segnali di prezzo errati a produttori, investitori e consumatori». Da qui la raccomandazione allo Stato di «eliminare, ridurre gradualmente o riformare i sussidi dannosi per la biodiversità, progressivamente ma in tempi certi, e adeguare il sistema fiscale integrando il valore di biodiversità, ecosistemi e capitale naturale».

Il testo di quest’articolo è stato redatto per “il manifesto”, con cui greenreport ha attiva una collaborazione editoriale.