Dall’Enea un nuovo progetto per recuperare materiali preziosi dai cellulari a fine vita

Una tonnellata di schede elettroniche da telefoni contiene in media 276 g di oro, 345 g di argento, 132 kg di rame, cui si aggiungono fino a 2,7 kg di terre rare per ogni tonnellata di smartphone

[11 Gennaio 2022]

Troppi dei nostri rifiuti elettrici ed elettronici (Raee), come i cellulari giunti a fine vita, non vengono ancora raccolti in modo differenziato né avviati al conseguente percorso di riciclo, sprecando così la possibilità di attingere a vere e proprie miniere urbane.

Basti pensare che una tonnellata di schede elettroniche da telefoni a fine vita contiene in media 276 g di oro, 345 g di argento, 132 kg di rame; se si considerano poi altri componenti, come magneti e antenne integrate ad esempio, l’elenco si allunga con le terre rare (quali ad esempio neodimio, praseodimio e disprosio) che possono raggiungere 2,7 kg per tonnellata di smartphone.

Per migliorare sul fronte dell’economia circolare è nato il progetto Portent, co-finanziato dalla Regione Lazio con circa 140 mila euro attraverso il Fondo europeo di sviluppo regionale e coordinato dall’Enea.

«È in crescita la quantità di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, soprattutto a causa di tempi di obsolescenza tecnica sempre più ridotti. Questo fenomeno potrebbero generare seri problemi di gestione legati alla presenza di metalli e sostanze nocive che rappresentano un rischio reale per la salute dell’uomo e dell’ambiente», spiega Danilo Fontana, ricercatore Enea e responsabile del progetto Portent.

In questo contesto ricercatori Enea utilizzeranno tecnologie idrometallurgiche (alternative alla pirometallurgia) perché garantiscono bassi consumi energetici (si opera a temperatura ambiente), ridotte emissioni, modularità degli impianti e flessibilità di impiego. Tutte caratteristiche che consentono un agevole processo di up-scaling e facile replicabilità in contesti industriali, senza trascurare gli aspetti di accettabilità sociale di questa tipologia di impianti a livello locale.

«L’idrometallurgia è una tecnica particolarmente indicata nella separazione e nella purificazione selettiva degli elementi a elevato valore aggiunto anche in matrici con basse concentrazioni di metalli. Mentre la pirometallurgia, per essere sostenibile, deve lavorare enormi quantità di materiale spesso non disponibili in un solo ambito nazionale, ma da reperire in aree geografiche molto distanti dagli impianti stessi», aggiunge Fontana.

Una volta concluso il progetto, i risultati della ricerca saranno trasferiti al tessuto imprenditoriale sia per l’innovazione tecnologica dei processi industriali sia per lo sviluppo di nuove competenze professionali qualificate.

«L’obiettivo, infatti, è quello di contribuire alla crescita dell’economica locale e nazionale e alla riduzione dell’impatto ambientale di questa tipologia di rifiuti che, grazie al recupero dei materiali in essi contenuti, diventeranno fonte di materie prime seconde per nuovi prodotti tecnologici», conclude Fontana.