Sono 11 i temi per un indirizzo di lavoro, dalla fiscalità ambientale ai rifiuti urbani

Dal Green Act di Legambiente a quello del governo, i punti di forza di un piano per l’Italia

Nel mondo l'uomo smuove più materia di fiumi e vulcani, e la proposta degli ambientalisti non si nasconde il problema

[26 Febbraio 2015]

Se la promessa affidata come di consueto a Twitter dal premier Renzi in gennaio sarà mantenuta, in Italia prenderà presto forma un Green Act; ancora sui contenuti si sa pochissimo, ma la data dovrebbe essere in marzo. E la più diffusa associazione ambientalista italiana si fa trovare pronta per l’appuntamento, presentando oggi a Montecitorio una proposta dettagliata sul tema, coinvolgendo un vasto e qualificato pubblico: gli interventi in sala spaziano coinvolgendo deputati, sindacalisti, economisti e due esponenti del governo, il ministro dell’Ambiente Galletti e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Graziano Delrio. I temi da affrontare sono molti e complessi, come spiega in esclusiva per greenreport il responsabile scientifico di Legambiente (e membro del think tank della nostra redazione, Ecoquadro), Giorgio Zampetti.

«Non vogliamo qui proporre un programma di governo alternativo – si schermiscono dal Cigno Verde –, non è nostro compito e non ne saremmo capaci». In alcuni casi la proposta di disegno di legge è addirittura già pronta, come per quella “in materia di fiscalità ambientale e energetica” elaborata da Legambiente e Radicali Italiani, ma oggi il Cigno Verde ha messo sul tavolo ben 11 temi, su cui avanzano proposte concrete e un indirizzo di lavoro: fiscalità, rigenerazione urbana, bonifiche, energie rinnovabili, rifiuti, mobilità urbana, trasporti, dissesto, natura, turismo, fondi strutturali. «Temi che riteniamo fondamentali per realizzare la svolta di cui c’è bisogno – commentano gli ambientalisti – e che secondo noi dovrebbero trovare cittadinanza nel Green Act».

Ed è particolarmente apprezzabile che in uno sforzo di questo tipo trovi attenzione, seppur indirettamente, anche a uno dei pilastri fondamentali per la sostenibilità, quello dei flussi di materia, che inspiegabilmente continua ad essere snobbato in altre e importanti sedi. Ci fosse infatti bisogno di ricordare quanto sia fondamentale questo tema per uno sviluppo economico equilibrato, basterebbe dare un’occhiata ai numeri messi in fila per l’ultimo numero della rivista Materia Rinnovabile da Aldo Femia, primo ricercatore presso l’Istituto Nazionale di Statistica (Istat): a livello globale l’uomo per le quantità di materiali che movimenta sulla Terra, ad oggi è in grado di competere con le più imponenti cause di cambiamento geomorfologico. Per le attività umane si spostano intenzionalmente ogni anno tra i 50 e i 60 miliardi di tonnellate di roccia, pietre, sabbia e ghiaia, di cui un terzo circa per il prelievo di minerali per l’industria metallifera e due terzi per altre industrie e per le costruzioni.

Si tratta di una quantità pari al doppio di quella eruttata dai vulcani oceanici, al triplo di quella portata al mare da tutti i fiumi del mondo, al quadruplo di quella che sposta la formazione di montagne, a dodici volte quella trascinata dai ghiacciai e a sessanta volte quella dovuta all’erosione eolica. Persino maggiore è lo spostamento di terra involontario, ma comunque dovuto all’azione umana, e in particolare all’erosione indotta dalle pratiche agricole: 80 miliardi di tonnellate.

La nostra sete di combustibili fossili comporta poi il prelievo annuo di circa 45 miliardi di tonnellate di materia dormiente in natura, di cui 14 miliardi sono i combustibili effettivamente utilizzati, mentre l’appropriazione umana di biomasse è arrivata invece a 27 miliardi di tonnellate di cui 5,5 miliardi non utilizzati.

Anche l’Italia, in quanto seconda potenza industriale d’Europa, ha il suo bel ruolo e le sue problematiche in questa dinamica, a partire dal fatto di non sapere con la dovuta precisione quali e quanti siano i flussi di materia che mobilita. E per un Paese ricco d’ingegno ma povero di risorse naturali come il nostro, non è cosa da poco. Il Green Act proposto da Legambiente,  anche se nell’ambito parla perlopiù di rifiuti (e dunque delle code dei processi industriali) tiene di conto di questi fattori quando suggerisce un accelerata sulla fiscalità ambientale – «chi inquina paga», ma anche «chi innova risparmia» – o inserisce tra le sue proposte interenti i rifiuti urbani (che in Italia, ricordiamo, sono circa ¼ degli speciali) quella di «incentivare l’uso di materiali riciclati perché aumenti il riciclaggio e diventi più conveniente del recupero energetico» (contribuendo così a ridurre l’utilizzo di materiali vergini tramite la promozione delle materie prime seconde), e al contempo di «eliminare gli incentivi per il recupero energetico dai rifiuti» ancora presenti. Non pochi, se si considera ad esempio la ripartizione dei 5,5 miliardi di euro annui riservati nel dal ministero dello Sviluppo economico all’incentivazione delle fonti rinnovabili escluso il fotovoltaico, con un decreto nel quale sono presenti anche i codici di plastiche perfettamente riciclabili, e che invece si sovvenziona per la termovalorizzazione.

Complessivamente, l’impianto proposto da Legambiente risulterà quindi anche incompleto e migliorabile, come ammesso dagli stessi ambientalisti, ma rappresenta una base di partenza molto avanzata sulla quale lavorare. Elementi chiave del governo erano oggi ad ascoltare le proposte del Cigno Verde, e in particolare il ministro dell’Ambiente Galletti ha rimarcato che «l’Italia deve muoversi verso un Piano industriale verde: bisogna conciliare un nuovo modello industriale con il rispetto rigoroso dell’ambiente; ormai questa è una evidenza, ma non solo per gli ambientalisti ma per i cittadini e per colori che vogliono fare industria». Anche se visti i precedenti le speranze non sono moltissime, c’è dunque da augurarsi che l’incontro con gli ambientalisti sia stato davvero costruttivo, in vista di marzo: «Speriamo ci copino», chiosa con una battuta (sempre su Twitter) il vicepresidente di Legambiente, Stefano Ciafani. Renzi avvisato, mezzo salvato.