Crescono gli investimenti nel servizio idrico, ma sono ancora la metà della media europea

Il dato nazionale è in crescita a 49 euro procapite, frenato dalla gestioni in economia che si fermano a 8 euro procapite. Nel mentre il 40% circa dell’acqua immesso in rete viene disperso

[22 Marzo 2022]

Col trasferimento delle competenze di regolazione e controllo del servizio idrico integrato ad un’autorità indipendente come l’Arera, ormai dieci anni fa, gli investimenti realizzati nel comparto – ancora largamente insufficienti a tutelare il nostro oro blu – continuano a crescere.

I dati del nuovo Blue book della Fondazione Utilitatis, realizzato in collaborazione con Cassa depositi e prestiti e Istat e con il supporto di Utilitalia, stima per il 2020-21 stima un valore pro capite di 49 euro (+22% rispetto al 2017, +47% sul 2012), ancora lontano dalla media europea che è di circa 100 euro.

Un grande divario, che si riflette nelle disuguaglianze presenti all’interno del nostro Paese. Se in alcune regioni virtuose come la Toscana si arriva a investire 70 euro procapite, il dato crolla a 35 euro per abitante nelle regioni del Sud, trascinato in basso dalla performance delle assai diffuse gestioni “in economia” del servizio idrico.

Dove gli enti locali si occupano direttamente del servizio idrico – una configurazione molto diversa da quella delle gestioni “in house”, è bene ricordare – gli investimenti medi annui si attestano infatti a 8 euro procapite. Un problema che riguarda una fetta rilevante di popolazione: sono più di 8 milioni le persone residenti in Comuni dove almeno un servizio tra quelli di acquedotto, fognatura e depurazione, è gestito direttamente dall’ente locale; di questi 5 milioni (63%) sono gli abitanti di Comuni in cui è l’intero servizio idrico a essere gestito direttamente dall’amministrazione locale.

Lasciati soli di fronte a questa responsabilità, i Comuni continuano dunque tendenzialmente a non investire nel servizio idrico: un danno che si riflette sulla comunità locale e non solo.

«C’è ancora da recuperare molta strada rispetto ai Paesi europei più avanzati, ma la presenza di operatori industriali che si occupano del ciclo idrico integrato, il sostegno offerto dal Pnrr e l’attenzione del regolatore consentono di avviare un percorso volto a colmare il divario», commenta Stefano Pareglio, presidente della Fondazione Utilitatis.

I fronti su cui recuperare terreno, del resto, non mancano. Il consumo pro capite di acqua potabile ad esempio si mantiene assai elevato, a 236 litri per abitante al giorno nei Comuni capoluogo e Città metropolitane (Istat), contro una media europea di circa 125 litri (Euroeau).

Guardando invece a fognatura e depurazione, permangono ancora alcune criticità rispetto al livello di adeguatezza del sistema alla normativa settoriale: le procedure di infrazione per la mancata o inadeguata attuazione della direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane interessano ancora 939 agglomerati urbani per 29,7 milioni di abitanti equivalenti. Il 73% delle procedure d’infrazione si concentra nel Mezzogiorno, dove in larga parte il servizio è gestito “in economia”.

Anche la dispersione di acqua dalle reti rimane consistente (circa 40% di media), a causa di acquedotti colabrodo che disperdono il nostro oro blu prima ancora che arrivi al rubinetto di casa.

Non a caso il contenimento dei livelli di perdite idriche assorbe quasi un terzo degli investimenti realizzati (32%); seguono, tra i principali interventi, gli investimenti nelle condotte fognarie (21%) e quelli per gli impianti di depurazione con il 14%.

Un nuovo volano di sviluppo si attende ora tramite il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che  destina alla Tutela del territorio e della risorsa idrica 4,4 miliardi di investimenti (di cui 3,5 miliardi per le aziende del servizio idrico integrato).

«Si tratta di una mole significativa di investimenti che potrà contribuire, da un lato, a colmare il divario infrastrutturale del Sud, e dall’altro lato a rendere le reti più resilienti di fronte agli effetti della crisi climatica. Al contempo è importante che le risorse stanziate vengano accompagnate da alcune riforme: occorre agire rapidamente sulla governance, favorendo la presenza di operatori industriali al Sud», conclude la presidente di Utilitalia, Michaela Castelli.