Lo stop all'export di spazzatura e ad alcune filiere ha portato a galla le lacune del nostro Paese

Covid-19, una lezione per l’economia circolare: Italia non autosufficiente nella gestione rifiuti

Brandolini (Utilitalia): «Gli effetti del coronavirus ci hanno fornito indicazioni che confermano quanto già avevamo evidenziato in passato, per una corretta gestione dei rifiuti è necessario rafforzare il sistema impiantistico»

[30 Luglio 2020]

La raccolta rifiuti e le principali attività di igiene urbana sono continuate senza interruzioni anche nel bel mezzo della crisi sanitaria da Covid-19, ma la fase del lockdown ha portato chiaramente a galla quelle lacune che da anni ormai gravano sulla gestione integrata dei rifiuti (urbani e speciali) che produciamo: su tutti la carenza di impianti dedicati sul territorio, in particolare al centro-sud, che ci rendono dipendenti dal turismo della spazzatura e dell’export.

Tramite un osservatorio attivato da Utilitalia – la Federazione delle imprese dei servizi pubblici nei settori acqua, ambiente ed energia – è emerso che le abitudini dei cittadini rispetto alla raccolta differenziata (pur con le consuete problematiche, oltre alle deroghe imposte dall’emergenza sanitaria) non sono venute meno negli ultimi mesi: «Abbiamo registrato una riduzione dei volumi legata alla chiusura delle attività commerciali e al rallentamento del comparto turistico, e al contempo un lieve aumento nella raccolta differenziata dell’organico e della plastica. Fortunatamente la pandemia non ha scalfito le buone abitudini dei cittadini, proseguite anche grazie a un settore che non si è mai fermato e che ha continuato a garantire un servizio essenziale in sicurezza e con continuità», spiega nel merito il vicepresidente di Utilitalia Filippo Brandolini.

Ma una volta prodotti e raccolti, i rifiuti vanno anche gestiti per recuperare materia, energia o per smaltirli. E qui iniziano i problemi. Già alcuni anni fa, ha evidenziato Brandolini, il sistema italiano si era trovato in difficoltà per lo stop cinese all’importazione di rifiuti provenienti da riciclo di bassa qualità: la soluzione che abbiamo trovato, molto all’italiana, non è stata quella di colmare le lacune nazionali ma di cambiare destinazione. Ora anziché in Cina esportiamo verso Paesi come Malesia e Turchia. Ma nel corso del lockdown ad acuire le criticità sono stati la chiusura degli altri Paesi europei all’importazione di rifiuti provenienti dall’Italia e il blocco di alcune filiere – come i cementifici – a cui viene derogato il recupero di energia da rifiuti che non hanno termovalorizzatori dove andare.

La situazione, insomma, si è fatta critica a causa di un sistema impiantistico inadeguato «che deve far ricorso all’esportazione all’estero e al supporto di altre filiere produttive. Siamo riusciti a compensare le difficoltà per la riduzione dei rifiuti prodotti dalle imprese e dal comparto turistico, e grazie a ordinanze regionali che in particolari situazioni hanno concesso deroghe sugli stoccaggi e sullo smaltimento in discarica», aggiunge Brandolini.

«Gli effetti del coronavirus – prosegue il vicepresidente di Utilitalia – ci hanno fornito indicazioni che confermano quanto già avevamo evidenziato in passato: per una corretta gestione dei rifiuti è necessario rafforzare il sistema impiantistico, con l’obiettivo di renderlo più resiliente, più pronto ad affrontare le emergenze». Ma per sapere quali impianti costruire e dove serve «una pianificazione di medio-lungo periodo sui fabbisogni impiantistici, che siano coerenti con l’economia circolare e tengano conto della necessaria flessibilità per affrontare le situazioni di emergenza». Una vera e propria «strategia nazionale che definisca il numero di impianti necessari e una loro migliore dislocazione sul territorio», come del resto chiede il recepimento delle direttive europee sull’economia circolare, per raggiungere i target imposti dall’Ue al 2035 sui rifiuti urbani in termini di effettivo riciclo (65%) e smaltimento in discarica (non più del 10%).

Al proposito Utilitalia, ha ricordato Brandolini, ha calcolato che «serviranno 3,2 milioni di tonnellate di capacità impiantistica aggiuntiva per i rifiuti organici e 2,4 milioni di tonnellate per il recupero energetico degli scarti del riciclo. In questo quadro risulta evidente anche il potenziale del settore dei rifiuti nella transizione energetica, in particolare per la produzione di biocombustibili». Per conferme o smentite del caso è però necessaria una programmazione pubblica.

Complessivamente per adeguare l’infrastruttura impiantistica si tratta di mettere in campo investimenti che oscillano tra i 7 e i 10 miliardi di euro – secondo le stime effettuate da Utilitalia e da Assoambiente – in grado di portare lavoro e migliorare le performance italiane in termini di economia circolare, ma senza una pianificazione adeguata e la necessaria semplificazione normativa saremo condannati a ripetere un eterno presente: quello in cui i nostri rifiuti percorrono ogni anno qualcosa come 1,2 miliardi di km, l’equivalente di 175mila volte l’intera rete autostradale nazionale, prima di giungere in un impianto autorizzato a gestirli. Quando non finiscono direttamente fuori confine o, peggio, in qualche ammucchiati in qualche discarica abusiva bordo strada.